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Finì addosso a qualcuno. Lo capì non appena rovinò per terra con un gomito dolorosamente infilzato nel fianco. La ragazza sopra quale Akira era caduta, esattamente la stessa che aveva portato suo fratello in quel posto, si rialzò con una veloce capriola all'indietro. Akira si ritrovò con un bastoncino di legno puntato alla gola senza neanche sapere come.

«Certo che voi avete una vera ossessione per questi...cosi» borbottò Akira, agitando la mano verso la bacchetta per ribadire il concetto. «Cosa pensi di farmi, cavarmi un occhio?»

«Tu non dovresti essere qui» la rimbeccò la ragazza dai capelli rosa. «Non dovresti proprio essere qui».

«Me l'hanno già detto» sbuffò la mora.

«AKIRA!». Seiji le andò addosso con la forza di un carro armato, e la ragazza venne atterrata di nuovo dalla forza del suo abbraccio. «Non farle del male, è mia sorella!».

«Ma l'incantesimo...tu non dovresti avere una sorella». La ragazza rinfoderò la bacchetta nella tasca, e si abbassò all'altezza degli altri due. Non sembrava arrabbiata, o preoccupata. Quanto più triste, e rassegnata.

«Infatti lei è mia sorella, ma non è mia sorella» spiegò Seij, come se quella spiegazione sarebbe bastata per risolvere l'equivoco.

«Oh beh, ormai sei qui, non sarò di certo io a cacciarti». Si alzò con uno scatto atletico, e tese una mano verso Akira, nella speranza di aiutarla e di chiederle scusa per averle puntato la bacchetta addosso. Akira puntò le mani a terra e si alzò da sola, per poi sfregarsi i palmi per togliere i sassolini e la polvere.

«Ma io non so dove sia, questo "qui"».

Si guardò intorno. Si trovavano all'inizio di una tortuosa via acciottolata che si dilungava davanti a loro in una linea che pendeva leggermente sulla destra. Ad ogni lato si vedevano vetrine e insegne di negozi come se ne vedevano a migliaia a Camden Town, ma erano per la maggior parte rotti o coperti da grandi cartelloni grigiastri che recavano foto in bianco e nero di quelli che ad Akira sembravano prigionieri. Riconobbe su uno di quei cartelli la stessa signora dai capelli spettinati la cui foto aveva attaccato davanti alla vetrina dell'Ikigai Shop pochi mesi prima. L'unica differenza era che quella foto si muoveva, come se fosse un video, o un film. Bellatrix Lestrange sghignazzava e guardava Akira con maldicenza.

«Benvenuti a Diagon Alley».

...

Ad Akira piacevano poche cose precise nella vita, le ciambelle col buco, i libri con un finale inaspettato, i giorni di pioggia e il profumo della polvere da sparo. Amava la certezza di un sole che sorge al mattino e tramonta la sera, del calore del fuoco, del freddo del ghiaccio e del rumore assordante dei fuochi d'artificio. Credeva nella chimica, e in quello che i suoi occhi potevano vedere e comprendere.

Non avrebbe mai, mai, potuto credere che la magia potesse esistere.

Fino a quel momento.

Ninfadora Tonks, o solo Tonks, come preferiva essere chiamata, le spiegò che la magia esisteva, e che i maghi vivevano al fianco di quelle persone che loro chiamavano babbani. La società dei maghi era ramificata esattamente come quella dei babbani, con Il loro Ministero della Magia e il loro Primo Ministro. Le spiegò che usavano le bacchette magiche come catalizzatore dei propri poteri, e che non tutti i maghi erano cattivi.

«Quindi siete stati voi» tradusse Akira, prendendo Seiji per un braccio e trascinandolo con sé. «Siete stati voi a fare quel...quell'incantesimo...o come si dice. Quella cosa che ha fatto dimenticare la mia famiglia di me».

Tonks annuì rassegnata, passandosi una mano tra i capelli. Stavano diventando di un grigio molto triste, come se fosse invecchiata da un momento all'altro.

Lᴀ Rᴀɢᴀᴢᴢᴀ ᴄʜᴇ Cʀᴇᴀᴠᴀ Fᴜᴏᴄʜɪ ᴅ'Aʀᴛɪғɪᴄɪᴏ ||Fʀᴇᴅ WᴇᴀꜱʟᴇʏDove le storie prendono vita. Scoprilo ora