Le festività di Natale erano sempre state il migliore periodo dell'anno. Si stava a casa da scuola, i genitori avevano più tempo da dedicare ai propri figli, le strade di Londra si riempivano delle luci natalizie e del profumo delle caldarroste. I negozi rimanevano aperti fino a tardi, e per le strade si sentiva la frenesia dei ritardatari che andavano in cerca degli ultimi regali. Il cielo prometteva pioggia mista a neve, quel miscuglio fastidioso che ti entra nelle ossa anche se sei coperta da capo a piedi con strati di vestiti.
Nonostante ciò l'inverno era bello. Il freddo, la pioggia, le felpe, le coperte, i brividi, gli ombrelli, i cappelli, le persone che si vedono perché nonostante il maltempo ne hanno voglia. Bere una cioccolata calda davanti al camino insieme alle persone che ami, invece di andare sempre a ballare perché non si ha nulla di meglio da fare. Il rumore della pioggia sui tetti. Insomma, l'inverno non era per tutti, perché non tutti sapevano apprezzarlo.
Erano le otto di mattina quando dal portone decorato con fori di ottone uscì una ragazza incappucciata. Indossava un cappotto color grigio che la faceva mimetizzare con il cielo sopra di lei, e una grande sciarpa nera che teneva avvolta intorno al collo, sul naso e sulla bocca. Di lei si vedevano solo due occhi marroni allungati, ancora un po' assonnati, e una ciocca di capelli scuri che sfuggiva dalla sciarpa. Teneva le mani in tasca, e se foste stati abbastanza vicini l'avreste sentita mormorare imprecazioni contro il terreno gelato, il freddo, la pioggerellina che stava iniziando a cadere e il caffè che quella mattina le si era rovesciato per terra prima che lei potesse assaggiarlo. Sì insomma, dopotutto le piaceva l'inverno, ma solo quando poteva godere del calore del fuoco e di una bella cioccolata calda dietro una finestra.
Si avviò lungo il viale alberato nel quale abitava, rischiando di scivolare sulle foglie ghiacciate che un grande castagno aveva lasciato a terra. Scese nella metropolitana ad Hyde Park Corner, per poi sfilare dalla tasca una mano guantata di nero e appoggiare l'abbonamento elettronico sul sensore. Dovette farlo tre volte, ma alla quarta, per la gioia della fila che si era creata dietro di lei, le porte automatiche si aprirono. Non era colpa sua se col freddo la sua tessera, già abbastanza malandata, decideva di prendersi una vacanza.
La metropolitana odorava di polvere, caffè americano e brioche. Tutto sommato non era così male. La pancia della ragazza prese a borbottare quando passò davanti al bar colorato e dal quale usciva un intenso chiacchiericcio. Però si fece forza, visto che era già in ritardo. Nonostante fosse il capo di sé stessa, almeno per quelle settimane, era lei l'unica ad avere le chiavi del negozio, e sapeva benissimo che fuori avrebbe trovato coda anche a quell'ora del mattino.
L'Ikigai Shop era di proprietà della sua famiglia ormai da molte generazioni. Il bisnonno di lei, da parte di madre, si era trasferito dal Giappone a venti anni circa. Nessuno della sua famiglia era mai stato in Giappone, nessuno conosceva il Giapponese se non poche parole. Ormai della loro terra natia erano rimasti un paio di occhi allungati, la sensazione di non appartenere al posto in cui ci si trovava, il nome del negozio e il nome della ragazza. Ad Akira era sempre piaciuto il suo nome, cosa che non poteva estendere al resto della sua persona. Quel nome che significava brillante o luminosa la faceva sentire importante. E il fatto che praticamente nessuno lo sapesse la faceva sentire una specie di spia, o di agente segreto. Era qualcosa che riusciva a farle tornare il sorriso anche nelle giornate peggiori. Qualsiasi cosa avessero detto di lei, non le potevano toglie quello che era veramente, una stella luminosa pronta a scoppiare.
Il fatto era che ad Akira le cose che scoppiavano erano sempre piaciute. Non ne era spaventata. Viveva per quel balzo che il suo cuore faceva al momento dello scoppio.
La metro ripartì con uno scossone, e la ragazza si aggrappò ad un palo rosso con una mano per non cadere. Ridacchiò tra sé, pensando a come da piccola sperava sempre che dalla metro scendessero abbastanza persone da permetterle di correre in cerchio intorno al palo tenendosi con la mano. Purtroppo poche volte ci era riuscita, e in men che non si dica era cresciuta.
Si tastò la tasca destra con la mano libera, esalando un esile sospiro di sollievo. Per un attimo aveva avuto il terrore di essersi dimenticata le chiavi del negozio a casa. Non era abituata a dover aprire lei. Di solito ci pensava il padre, in quanto titolare, ma al momento era in America per concludere un affare di lavoro e aveva lasciato il negozio a lei. Akira non aveva paura del peso delle responsabilità, di fatto conosceva il negozio meglio della sua stessa casa e aveva seguito suo padre a lavoro praticamente da quando aveva zero anni.
L'Ikigai Shop era magico, o meglio, così dicevano tutti. Volevi dei palloncini per la tua festa di compleanno? Lì li trovavi di sicuro. Delle parrucche? Delle maschere per carnevale? Nessun problema.
Avevi bisogno di fuochi d'artificio per il tuo Capodanno scoppiettante alla casa al lago? Quello era il pane quotidiano per Akira. Diciamo che lei viveva di aria, gocce di rugiada dell'universo e profumo di polvere da sparo, o "polvere nera", come la chiamava quando "polvere da sparo" le era troppo difficile da pronunciare. Polvere che le finiva sempre tra i capelli o sotto le unghie, quando creava i suoi gioielli. E non sto parlando di anelli e collane.
I fuochi d'artificio per Akira erano tutto. Di notte si sognava i composti chimici che servivano per creare nuovi colori, e di giorno dopo scuola andava al negozio a provare i suoi esperimenti da quando aveva dieci anni. Prima sotto la supervisione del padre, pirotecnico prima di diventare un semplice commerciante, poi sempre più da sola. Carbonato di rame, gesso e cloruro erano i suoi migliori amici. Sapeva a memoria i grammi precisi di ognuno per creare i colori perfetti.
Le stelle erano i suoi fuochi d'artificio preferiti, forse per il loro effetto scenografico che formava una corona circolare di molti colori, mentre le bombe a colpo scuro, quelle che si usano a inizio e fine spettacolo per avvisare gli spettatori, riuscivano sempre a farle fare un saltino al cuore.
Purtroppo la maggior parte del merito veniva dato al padre di Akira, perché nessuno credeva che una ragazzina di 17 anni riuscisse a creare capolavori del genere. Ma ad Akira non importava. Non cercava il successo o la gloria, le importava solo creare qualcosa di bello per il semplice giusto di farlo. A casa la nonna e la madre la chiamavano sempre piccola artista, e quello era l'unico riconoscimento di cui aveva bisogno.
Ad Akira Camden Town era sempre piaciuta. Ormai andava e veniva come se fosse di casa, ed entrava e usciva dai vari negozi come se lei e i proprietari fossero migliori amici. Il fatto era che il negozio della sua famiglia era uno dei più vecchi in quella parte della città, e quasi tutti i negozianti, chi più amichevolmente e chi meno, erano entrati per fare quattro chiacchiere e presentarsi ai vicini.
Come la ragazza aveva sospettato, davanti al negozio c'era un nutrito gruppo di clienti, tutti stretti l'uno all'altro e nei loro cappotti. Come quando si va il prima possibile dal fornaio per accaparrarsi le pagnotte migliori, anche dall'Ikigai Shop prima si andava e prima si potevano comprare i prodotti in edizione limitata, come certi tipi di fuochi d'artificio o di oggetti e giochi che il padre di Akira si divertiva a rilasciare un poco per volta per mantenere viva l'attenzione.
La maggior parte dei clienti era giovane, più che altro bambini accompagnati dai genitori. I bambini più piccoli erano appoggiati con le mani appiccicose alla vetrina del negozio, che proponeva una seria di articoli per i più piccoli. Costumi di Hulk, Superman e Batman non si sprecavano, insieme a libri colorati e maschere spaventose.
Akira prese un respiro profondo, e superò le persone che le chiedevano informazioni sull'orario di apertura per guadagnarsi la porta laterale. Lì, qualcun altro la stava già aspettando.
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Lᴀ Rᴀɢᴀᴢᴢᴀ ᴄʜᴇ Cʀᴇᴀᴠᴀ Fᴜᴏᴄʜɪ ᴅ'Aʀᴛɪғɪᴄɪᴏ ||Fʀᴇᴅ Wᴇᴀꜱʟᴇʏ
Fanfictionnoι тυттι ѕιaмo coмe ι ғυocнι d'arтιғιcιo: cι ιnnalzιaмo, вrιllιaмo, cι dιѕѕolvιaмo e alla ғιne cι dιѕperdιaмo. Ad Akira piacevano poche cose precise nella vita, le ciambelle col buco, i libri con un finale inaspettato, i giorni di pioggia e il pro...