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La città era imponente. I grattacieli in pendenza e quelli caduti mi facevano comunque sentire minuscola e insignificante. Sembravano tutti delle carcasse di enormi mostri. C'era solo una parola per descrivere quel posto: morto.

Era così brutto passare per i vicoli e per la prima volta vedere la realtà di quel mondo. Avevo avuto l'occasione di osservare da vicino i sintomi dell'eruzione, ma mai le conseguenze sulle persone "sane".

Ci eravamo divisi in coppie e nonostante avessi insistito per andare con qualcun altro, ero finita con Thomas. Era già la quarta volta che una persona ci chiedeva qualcosa chiamato Nirvana. Non sapevo cosa fosse, avrei chiesto a Jorge più tardi, ma molti lo desideravano in modo così ossessivo che mi venne la vaga impressione che si trattasse di niente di legale.

"Ragazzi" questa volta non era un uomo, una donna o un vecchio, ma un bambino. Un piccolo bimbo di più o meno sei anni. Aveva una grossa massa di ricci rossi sulla testa e due grandi occhi marroni, praticamente neri. "Avete del cibo?"

Schiusi la bocca e mi fermai in mezzo alla strada sterrata. Pensai ai pochi snack scaduti che avevo nello zaino e sentii lo stomaco stringersi. Stavamo viaggiando in tanti, io e Newt avevamo degli ostacoli, chi il braccio e chi la caviglia. A tutti serviva il cibo.Però quel bambino era sporco, i suoi vestiti erano strappati, i suoi denti quasi non esistenti.

"Mamma io ho fame." La pancia faceva davvero male. Era come se qualcuno mi avesse conficcato una spada nel ventre. "Lo so amore." Le sue labbra rosee si posarono sulla mia fronte e la lasciarono con un leggero schiocco. "Ma devi solo aspettare qualche ora, papà sta per tornare."

Con non poca difficoltà, sfilai le spalline dello zaino e mi accovacciai a terra davanti al ragazzino. La spalla mi fece male, ma strinsi e denti e aprii la cerniera. "Cleo cosa stai facendo?" Non risposi alla domanda di Thomas e presi del tonno in scatola. Doveva fare veramente schifo visto che era stato in un posto stretto e caldo per più di un giorno, però era comunque commestibile. Forse.

"Tieni." Gli porsi la lattina e il bambino mi guardò per un secondo come se fossi un alieno. Esitò qualche istante prima di prendere il mio gesto di carità e sfrecciare via come un fulmine.

"Sei consapevole del fatto che molti altri bambini chiederanno da mangiare e non potrai accontentarli?" Lo ignorai di nuovo e tornai a sostenere lo zaino con una spalla sola.

"Senti Cleo, mi spiace davvero tanto di aver difeso Newt." Oh non potevo dirgli che avevo origliato tutto la notte prima e che avevo capito il motivo per cui avesse difeso il suo amico. Volevo aspettare che almeno uno dei due mi dicesse qualcosa. Quanto tempo potevano resistere mentendo su tutto?

"Sai Thomas credo che in una relazione si debba dire tutto al proprio partner." Feci un lieve sorriso. Sensi di colpa: primo passo. "Per esempio, io ho ricordato molte cose. Di nuovo."

Ripresi a camminare e lui fece lo stesso. Secondo i miei contorti ragionamenti, se io gli avessi detto i nostri veri nomi e la storia della sua famiglia, lui avrebbe vuotato il sacco. Era anche un modo per metterlo alla prova. Ora che ci pensavo se Newt avesse confidato a me quel segreto non credo che lo avrei detto a nessuno, nemmeno a allo stesso Thomas. Ma io ero coinvolta e secondo la sequenza dei fatti avevo assistito ad uno dei suoi primi deliri.

"Cosa intendi?" Chiese girando l'angolo. Ci ritrovammo in una stretta strada delimitata da alti palazzi malfamati, che però erano ancora perfettamente in piedi. Sui muri erano dipinti strani simboli e frasi si ribellione come:"abbasso la CATTIVO" e un segno che non riconoscevo, anzi lo avevo già visto, ma probabilmente le mie esperienze di vita arretrate non mi permettevano di saperne il significato. Come era successo con gli autogrill, gli aeroplani e le biblioteche. Non ne avevo mai visto uno e non mi sarebbe mai successo.

𝓣𝓱𝓮 𝓜𝓪𝔃𝓮 𝓡𝓾𝓷𝓷𝓮𝓻//𝓗𝓸𝓹𝓮Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora