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Era buio, stranamente freddo e straziante. Quella piccola stanza era stretta e silenziosa. Mi sentivo come la sera in cui i dolenti erano entrati nella radura. Riuscivo a sentire le urla, il rumore di corpi scaraventati a metri di distanza. Vedevo gli occhi di Alby che si aggrappavano ai miei e mi salvavano. Non si vedeva nulla, se non qualche ombra. Iniziai a sentire i rumori sferraglianti del metallo che strisciava su metallo.

La mia mente era tornata nel passato. Non era per la situazione, la paura o la consapevolezza che ci avessero scoperto per colpa mia. Era il passato, era sempre stato il passato a rovinare il presente. Era stretto, tanto. Sofficavo come ogni volta in cui mi trovavo in un posto del tutto chiuso.

Ero sempre stata in trappola tutte le volte che era successo qualcosa che mi aveva cambiato la vita e questo mi faceva arrabbiare. Quella sera in gattabuia, le quattro mura imponenti che circondavano la radura, quelle del mio monolocale d'infanzia e il cubo.

E ora eravamo io e Thomas in un posto sconosciuto, al freddo. La mia testa era leggera, sembrava volare come un palloncino e i miei pensieri erano come uno stuzzicadenti pronto a farlo scoppiare.
"Non ti sembra di stare girando?" Chiese Thomas e vidi la sua ombra sdraiarsi sul pavimento. "No." Risposi in modo diretto.

"Non mi sento più la faccia." Sussurrò. Anche se non sapevo perché stesse sussurrando. Probabilmente non lo sapeva nemmeno lui. "Perché ti hanno drogato o perché ti hanno picchiato a sangue?" Domandai con un misto di ironia e sarcasmo. "Sai, non lo so."

"Era una domanda retorica. Se non avessi risposto in modo così aggressivo ti avrebbero dato la mia stessa dose. Se non lo avessi notato, io non mi reggo in piedi, mentre tu ti rotoli sul pavimento."

"Sei tu che mi fai il solletico sotto il naso o è uno spirito paranormale?" La sua voce era bassa, roca, simile a quando era appena sveglio, come se facesse fatica a parlare. "È anche questa una domanda retorica?"

"Ovvio Cleo, so che sei tu." Alzai gli occhi al cielo.

"Mi dispiace deluderti ma non sono io."

"Ma cosa stai dicendo- aspetta ma questo è un ragno!" Mi sfuggì una risata amara. Forse mi avrebbe divertita in un altro momento.

Non avrei saputo dire da quanto quei due ci avevavo infilato in quello spazio oscuro, che sembrava avere l'aria di essere uno sgabuzzino. Percepivo una mano che stringeva attorno al mio collo facendomi mancare il respiro e le dita fremevano.

Richiusi gli occhi e lo feci. Premetti il grilletto. Strinsi forte le ginocchia al petto e ci affondai la fronte facendo cadere i capelli secchi e lunghi sulle gambe. Cercai di tapparmi le orecchie, pur sapendo che tutto quello che sentivo era solo nella mia testa. Ogni singola voce, urlo o altro. Avrei voluto che fossero solo allucinazioni, però quelli erano ricordi.

Ero fatta così, lo avevo capito. Qualsiasi cosa bella potesse capitarmi, io la respingevo. Non sono mai stata abituata alla monotonia, non è mai andato tutto bene, e la mia mente non poteva accettare niente di più. Era come se qualcuno là fuori volesse impedirmi di essere felice.

Quel senso opprimente di ansia. Era quello ad avermi rovinata. Era come sprofondare ogni giorno, come annegare ogni secondo della mia vita.

Gally lasciami!" Esclamai dimenandomi. Altre forti urla squarciarono l'aria fredda della sera e riecheggiarono tra le pareti metalliche della scatola. "Cleo è andato!" Mi urlò facendo penetrare la sua voce nelle mie orecchie, come un forte tuono durante un temporale.

Il mio fiatone iniziò a farsi evidente. "Cleo?" La voce di Thomas. Ecco cosa mi aveva spesso salvata, quello che riusciva a farlo tutt'ora. Mi mancava quello che non eravamo mai stati. Volevo un ragazzo, ma anche una vita normale. Volevo girare con lui per i corridoi della scuola con le dita intrecciate, andare la sera in discoteca, divertirmi con i miei amici.

𝓣𝓱𝓮 𝓜𝓪𝔃𝓮 𝓡𝓾𝓷𝓷𝓮𝓻//𝓗𝓸𝓹𝓮Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora