Capitolo 6

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«Ho fatto prima che ho potuto!» esclama Sharon mentre sta ancora correndo nel corridoio per raggiungermi nella sala d'attesa dove mi sembra di essere seduta da un'eternità.

Mi alzo e la abbraccio gettandomi con la fronte contro al suo petto, lei mi stringe a sé in silenzio, solleticandomi la schiena e accarezzandomi i capelli.

«Non volevo disturbarti.» mi scuso quando ci sediamo, noto che ha ancora il trucco pesante e i ricci acconciati e capisco che viene direttamente dal lavoro.

«Non dirlo nemmeno per scherzo Chloe.» la sua mano si appoggia sulla mia e ne accarezza il dorso così delicatamente da farmi quasi solletico, «Come sta?»

«Meglio, ma stanno ancora facendo degli esami e non sono ancora riuscita a vederla.» le spiego fissando il pavimento bianco con piccole macchie che, ormai, conosco a memoria.

«L'importante è che stia bene. Sai cos'è successo?»

«Sembra che faccia uso di cocaina da un po'.» mi blocco quando una lacrima mi riga il viso e io la lascio scorrere per tutta la mia guancia finché raggiunge le mie labbra lasciando un fastidioso sapore salato, «Come ho fatto a non accorgermene?»

«Non puoi incolparti tesoro.» cerca di consolarmi.

«Invece sì. È mia sorella e io sono la sua tutrice, chi altro se ne sarebbe dovuto accorgere?» dico tra i singhiozzi, «Non mi sono accorta che saltava la scuola, non mi sono accorta della droga e di chissà quante altre cose!»

Mi sento una fallita. Eppure sto cercando di fare qualsiasi cosa per lei. Faccio due lavori, uno che odio particolarmente, per permetterle di vivere una normale vita da adolescente. Non riesco ad essere tanto presente per lei, ma sto facendo il possibile.

«Crescere una ragazza, soprattutto adolescente, non è facile, specialmente dopo tutto quello che è successo alla tua famiglia.» mi rincuora la mia amica accarezzandomi affettuosamente la coscia, «Ricordo quando piangevi ogni volta che finivi il turno al club, quando dovevi bere un paio di bicchierini di vodka liscia per sopportare i commenti e le mani di quegli uomini sul tuo corpo. E ricordo anche quello che dicevi sempre prima di uscire dal camerino-»

«Per Amanda.» diciamo entrambe all'unisono, ricordando l'unica motivazione che avevo e che continuo ad avere per salire su quel palco.

Non posso fare a meno di lanciarle uno sguardo riconoscente mentre lei abbozza un sorriso e poi aggiunge un semplice: «Andrà tutto bene». Ed io, per qualche strano motivo, riesco a crederle.

«Signorina Smith?» sento alle mie spalle e mi volto per trovare la dottoressa con una cartella in mano.

«Come sta?» domando con l'agitazione che cresce nel mio stomaco, mi alzo subito.

«Amanda sta abbastanza bene, è sveglia, tra poco potrà vederla ma vorrei prima scambiare due chiacchiere con lei.»

Annuisco e raccolgo la mia borsa, lei mi fa segno di seguirla mentre passiamo davanti a numerose porte con targhette diverse. C'è un forte odore di disinfettante e di medicinali e tutto sembra fin troppo bianco.

Apre la porta e mi lascia entrare prima di richiuderla alle nostre spalle, mi siedo su una scomoda sedia rossa mentre lei è di fronte a me, mani conserte e gomiti appoggiati alla scrivania.

«Sua sorella ha attraversato un periodo di ribellione e si è spinta un po' troppo oltre, ma credo che questo evento l'abbia spaventata abbastanza da non fare altre stupidaggini di questo tipo.» comincia lei, la sua voce è calma e delicata, riesce quasi a rilassarmi.

«Ma?» la esorto io battendo ansiosamente il piede sul pavimento. Vorrei chiederle di arrivare dritta al punto e andare da Amanda, ma ho paura di sembrare scortese.

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