Capitolo 46

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 «Vieni?» Zayn, evidentemente più tranquillo, mi indica il posto vuoto vicino a lui, sul piccolo ma comodo letto matrimoniale muovendo un po' il piumone con la mano.

«Sì.» annuisco con un sorriso gentile mentre passo su tutto il mio viso una salviettina struccante che, ben presto, si colora di trucco e pulisce il mio volto stanco.

Raccolgo i capelli in uno chignon mal fatto, mentre alcune ciocche ricadono ai lati del mio viso e sul mio collo, poi sfilo le scarpe e cammino scalza fino al letto, lasciando scivolare il mio vestito ai miei piedi. Lo scavalco e, solo con gli slip addosso, mi sdraio vicino a Zayn, accoccolandomi con una gamba sopra le sue e il piumone che ci copre e ci riscalda.

Lui avvolge il braccio attorno alla mia spalla e mi costringe a finire contro al suo petto, mentre appoggio la guancia sul suo addome nudo e con un dito traccio i suoi addominali solleticandone la pelle.

«Era un amico di mio fratello.» sussurra pensieroso e disegna piccoli cerchi con le dita sulla mia schiena nuda e ricoperta di brividi, «È solo questo che mi impedisce di ficcargli un pallottola in testa.»

«Che cosa ti ha fatto?» lo interrogo voltandomi per vedere le sue labbra socchiuse, i suoi occhi ancora arrabbiati ma la sua fronte distesa.

«Mi ha incolpato della morte di Aaron.» distoglie lo sguardo mentre lo dice, con la tristezza che dipinge i suoi occhi.

«Cosa?» spalanco la bocca in un'espressione stupita, poi piego le sopracciglia dalla rabbia, «Ma come si permette!»

«A volte penso che abbia ragione, che sia colpa mia.» farfuglia, la sua voce è spezzata come se stesse per piangere e io lo guardo con compassione, so esattamente cosa sta provando.

«Perché pensi questo?» lo osservo mordendomi nervosamente il labbro mentre gli accarezzo il petto nudo e lui affonda le dita tra i miei capelli massaggiando la mia testa.

«Lui era con me quando l'hanno ucciso.» ammette e capisco subito che gli costa molto parlarmene dal modo in cui fissa un punto a caso sul muro e non ha il coraggio di guardare me, «La pallottola era indirizzata a me, ma lui si è messo in mezzo.»

«Non potevi farci nulla, non è colpa tua.» mi affretto a controbattere scuotendo velocemente la testa, con il tono di voce gentile.

«Invece sì!» grida facendomi trasalire e poi, subito dopo, fa un lungo respiro e mi guarda dispiaciuto, fa una pausa come se si dovesse riprendere prima di continuare, «Mi ero messo contro l'assassino di mio padre, l'ho minacciato e lui voleva uccidermi.»

«Voleva ucciderti solo perché lo avevi minacciato?» lo interrogo aggottando la fronte, incredula che una persona possa ammazzare qualcuno con così tanta facilità.

«Era una persona orribile, meschina, crudele.» mi spiega mentre dal tono di voce e dalla smorfia sul suo volto si può leggere il disgusto che prova.

«Era?» ripeto io alzando un sopracciglio nella sua direzione.

«È morto qualche anno fa.» si limita a rispondermi e poi fa sparire le labbra all'interno della bocca, io evito di fare domande di cui non voglio conoscere la risposta, anche se la immagino, «Ma prima è riuscito ad ammazzare anche mia madre.»

«Perché odiava così tanto la tua famiglia?» insisto io e mi metto più comoda con la testa sulla sua spalla.

«Mio padre aveva una storia con sua moglie.» fa spallucce e poi continua a raccontare, «Quel mostro l'ha ucciso e da allora è iniziata una lotta tra la sua banda e quella di mio padre, molti uomini sono stati uccisi prima che arrivasse anche a mio fratello e a mia madre e poi-»

«Tu ti sei vendicato.» continuo io non appena si interrompe e lui annuisce appena mentre io lo guardo, i suoi occhi si abbassano su di me e posso percepire la sua sofferenza nell'esatto momento in cui incontrano i miei.

«Ma non ha riportato indietro la mia famiglia.» si lamenta lui, il suo petto si alza ed abbassa velocemente e io ci poso sopra la mano per accarezzarglielo.

«Non è colpa tua, ma di quei bastardi che l'hanno ucciso.» lo consolo e salgo sul collo, sulla guancia stando attenta a non premere il palmo della mano contro alla ferita, poi affondo la testa nell'incavo del suo collo ed inspiro a fondo mentre il suo profumo invade le mie narici.

«Se io non l'avessi provocato, forse loro ci avrebbero lasciati in pace.» sospira e io mi metto seduta quando capisco che una lacrima ha rigato il suo viso, lo tiro a me prendendo il suo polso e lui non oppone resistenza, la sua fronte si scontra con la mia spalla mentre si lascia andare in un pianto liberatorio.

Gli accarezzo i capelli, poi scendo sulla schiena stringendolo a me con l'altro braccio che lo avvolge, i suoi singhiozzi risuonano nella stanza mentre le sue lacrime cominciano a bagnare la mia pelle, scendendo sul mio petto, sui miei seni nudi, e il suo corpo si stringe al mio con forza, come se fosse la sua ancora di salvezza.

Mi si stringe il cuore nel vederlo stare male, impugnare il piumone e singhiozzare. Mi muovo leggermente avanti ed indietro per cullarlo. È la prima volta che lo vedo distrutto, che ha perso il suo modo di fare sicuro e spavaldo, che non è forte ed invincibile come ho sempre creduto.

In questo momento è debole, fragile, abbattuto e, purtroppo, l'unica cosa che posso fare è stargli vicina e fargli capire che non è solo, che non sarà mai solo.

«Ho passato cinque anni ad incolparmi per la morte di mio padre, a pensare che forse avrei potuto cambiare le cose, salvarlo...» racconto io in un sussurro e bacio la sua testa, i suoi capelli solleticano il mio collo, «Ma la verità è che non possiamo cambiare il destino.»

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