Capitolo 18

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Quando ero piccola, i miei genitori portavano me e mia sorella a cena fuori piuttosto spesso. Lavoravano molto e il sabato sera era il nostro momento preferito: tutti seduti attorno ad un tavolo ben apparecchiato, mangiando pizza e raccontandoci della nostra settimana.

Eppure, non ero mai stata in un ristorante come questo e mi sento un po' a disagio mentre accavallo le gambe sotto al tavolo rettangolare allestito elegantemente con una tovaglia bordeaux, fin troppe posate di misure diverse e bicchieri di ogni grandezza. La piccola sala è illuminata da deboli faretti che rendono l'ambiente caldo ed intimo, mentre pilastri e volte di pietra gli conferiscono un'aria sontuosa ed esageratamente pretenziosa.

«Il McDonald's sarebbe andato più che bene.» mormoro a disagio, giocherellando con l'orlo del tovagliolo di tessuto.

«Non ti piace?» domanda con le labbra piegate in un broncio. Sembra un po' deluso e adesso mi sento in colpa, forse si aspettava un po' di riconoscenza e ho paura di averlo offeso.

«È un posto meraviglioso!» mi affretto a specificare, «è solo che...»

«Non fa per te?» mi aiuta a continuare.

«Preferisco i posti più semplici.» ammetto io mordendomi il labbro, «Senza mille coltelli diversi, capisci?»

«Chloe preferisce posti semplici in cui mangiare con le mani. Annotato.» fa un cenno con la testa e un lieve sorriso per poi abbassare il suo sguardo magnetico sul suo menù.

Faccio lo stesso ma, da dietro il libro, non posso fare a meno di squadrarlo per un attimo mentre pettina all'indietro i suoi capelli con la mano ornata da qualche anello, sistemando il ciuffo lungo.

Ha indossato un maglioncino nero col collo alto e una giacca elegante dello stesso colore che risalta le sue spalle larghe e ben proporzionate.

«E comunque al McDonald's quel bellissimo vestito sarebbe sprecato.» afferma senza guardarmi e posso vederlo alzare l'angolo delle labbra da dietro il suo menù.

«Ti piace?» oso chiedere, un po' a disagio ma lusingata dal suo complimento.

«Molto.» ammette lui sporgendosi per un attimo da dietro la lista per esaminarmi di nuovo, «Stai davvero benissimo. Il nero ti dona.»

Sorrido, sicura che le mie guance si siano arrossate. In effetti mi sono preparata con cura: ho indossato un vestito nero aderente che arriva fino a metà coscia con le maniche lunghe, che scende sulle braccia lasciando le spalle scoperte e l'ho impreziosito con una cintura bianca, in tinta con i miei sandali e la mia pochette.

«Questi piatti sono uno più costoso dell'altro!» mi lamento sgranando gli occhi quando passo in rassegna le pietanze scritte nel menu.

«Non preoccuparti di questo,» reagisce con una smorfia divertita e scuote velocemente la testa, «scegli quello che ti piace.»

«Ok...» replico non molto convinta continuando a leggere prima, «Chi spenderebbe quarantotto dollari per un risotto?»

«Qualcuno che vuole mangiare un risotto delizioso?» suggerisce e si lascia scappare una risatina osservandomi come se venissi da un altro pianeta.

Faccio sparire le labbra all'interno della bocca non appena mi rendo conto che Carmen non si metterebbe di certo a contestare il prezzo delle portate di un ristorante, ma sceglierebbe qualcosa di costoso con espressione da vera intenditrice, arricciando raffinatamente le labbra.

Ogni volta che mi vesto bene, acconcio i miei capelli e indosso gioielli pagati dalla carta di credito di Zayn, riesco per un attimo a sentirmi una donna elegante e di classe. Poi, però, succede qualcosa che mi riporta alla realtà e che mi ricorda che non importa quanto costa ciò che ho addosso, rimarrò sempre una semplice spogliarellista.

«Avete già scelto?» domanda un cameriere sulla cinquantina quando si avvicina al nostro tavolo.

«Sì.» afferma Zayn e io corrugo la fronte non avendo ancora deciso cosa prendere, «Per me polipo, per lei risotto al tartufo.» ordina senza chiedere parere a me. Non riesco a decidere se lo trovo attraente o maleducato.

Sto per mangiare un risotto che costa come la spesa di un'intera settimana, penso tra me e me alzando gli occhi al cielo, il mio capo ordina anche una bottiglia di vino dal nome impronunciabile.

«Perfetto.» si congeda l'uomo con una forte erre moscia e raccoglie i menu.

«Di cosa volevi parlarmi?» lo interrogo non appena rimaniamo soli, sono troppo curiosa e preoccupata per aspettare ancora.

«Oh, giusto.» si schiarisce la voce e si inumidisce le labbra, «Ho degli affari da sbrigare a Dubai tra un paio di giorni e vorrei che tu mi accompagnassi.»

«Dubai?» ripeto, forse a voce esageratamente alta e poi mi guardo attorno per assicurarmi di non aver disturbato gli altri commensali. Ho sempre sognato di andare lì.

Annuisce e beve un sorso d'acqua prima di continuare: «Se te la senti, vorrei che tu ricominciassi a lavorare, ti prometto che sarai sempre al sicuro.»

«Attento a non fare promesse che non sei sicuro di riuscire a mantenere.» lo punzecchio parlando lentamente e a bassa voce, alzo lo sguardo su di lui con il sopracciglio alzato in un'espressione provocatoria.

«Chloe ci sarò sempre io, o qualcuno della sicurezza pronto a difenderti nel caso succedesse qualcosa.» mi assicura con convinzione, «Quello che è successo in hotel non ricapiterà più.»

«Lo spero.» confido senza smettere neanche per un momento di fissare i suoi bellissimi occhi luminosi.

«Non sono uno sprovveduto, sono il capo di una delle gang più temute perché so cosa faccio.» mi garantisce sistemando il bavero della giacca con fare vanitoso.

«Proverò a darti fiducia.» accetto e mordo nervosamente il mio labbro inferiore e spero, ancora una volta, di fare la scelta giusta.

«E io non la tradirò un'altra volta.» giura soddisfatto, la sua bocca si piega in un sorriso trionfante, appoggia il gomito al tavolo e il mento sulle dita piegate della mano non perdendo alcun mio movimento.

Il vino viene versato nei nostri calici e io lo alzo: «A Dubai?»

«A Dubai.» annuisce lui facendo lo stesso con il suo bicchiere prima di bere l'ottimo vino, «E alla fiducia riconquistata.» 

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