Capitolo 13

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L'automobile si ferma su una strada sterrata e, tra qualche albero, riesco ad intravedere qualcosa grazie ai fanali ancora accesi, forse una casa o il magazzino di cui parlava poco fa al telefono.

Zayn raccoglie la pistola e scende sbattendo energicamente la portiera, poi apre la mia non appena raggiunge il mio lato.

«Scendi.» ordina sbrigativamente facendomi un veloce segno con la mano.

«No.» replico duramente guardando il buio di fronte a me attraverso il vetro, non ho il coraggio di incrociare lo sguardo con il suo.

«Ho detto di scendere Chloe.» insiste e posso capire dal tono di voce che è piuttosto spazientito.

«E io ho detto no.» ribatto con un'innata e strana sicurezza, ora mi volto anche per osservarlo e, nonostante il buio, riesco ad incrociare le sue iridi ancora più scure. La sua espressione è cupa, la sua bocca piegata in un ghigno maligno.

«Scusa?» alza un sopracciglio come se pensasse di non aver capito bene, incrocia le braccia al petto e sposta il peso su una gamba.

«Non scenderò.» borbotto, abbasso lo sguardo sulle mie gambe nude ed infreddolite pur di non prestare attenzione al suo volto che diventa sempre più severo, «Non voglio stare con un criminale.»

«Ho una pistola, non ti conviene fare la furba con me.» mi avverte e i suoi occhi diventano leggermente più allungati, subito dopo serra le labbra irrigidendosi.

«Stai minacciando di uccidermi?» domando sgranando gli occhi nella sua direzione e scuoto leggermente la testa, incredula.

«Sì, è proprio quello che sto facendo.» conferma sbuffando, «Quindi esci da questa cazzo di macchina.» aggiunge gridando, tanto che la sua voce diventa roca.

«Dai, uccidimi.» lo sfido facendo spallucce e non riesco a credere di essere così coraggiosa, forse incosciente, da provocare il capo di una banda che potrebbe sparare da un momento all'altro.

«Hai scelto la serata sbagliata per farmi innervosire.» bofonchia, poi avvolge la sua mano attorno al mio braccio e mi tira costringendomi a scendere e facendomi quasi cadere.

Cammina come se non mi stesse trascinando dietro di lui e io devo fare attenzione tra l'erba e la sterpaglia, rischiando più volte di cadere per colpa del suo passo svelto e dei tacchi alti.

«Lasciami!» provo a ribellarmi cercando di divincolarmi dalla sua presa che, ovviamente, è troppo forte.

«Non bastava la sparatoria e tutto il resto, ci mancava anche una stronza a farmi perdere la pazienza.» brontola come se stesse parlando da solo e io non fossi qui mentre continua a tirarmi e, prima che io riesca a rispondere acidamente, lascia il mio braccio per spalancare una porta ed afferrarmi il polso prima di entrare.

Preme un interruttore e la luce rivela un magazzino non particolarmente grande e, sicuramente, poco utilizzato siccome sembra impolverato e negli angoli ci sono parecchie ragnatele.

Un letto disfatto, un tavolo con tre sedie di legno attorno, uno stanzino che immagino contenga i sanitari e qualche pezzo di ricambio di automobili sparsi in giro.

«Non riesco a credere di aver rischiato di morire.» continuo a ripetere camminando avanti e indietro per la stanza umida.

«Puoi smetterla?» domanda Zayn seguendomi con lo sguardo, poi prende una maglietta da un cassetto e sbottona la camicia.

«Stavo per essere uccisa, ti rendi conto?» ribatto, ma in realtà non mi sto nemmeno rivolgendo a lui. Slego i capelli dall'acconciatura ormai completamente sfatta, appoggiando qualche spilla sul piccolo e rettangolare tavolino di legno.

«Ma sei viva, quindi smettila di lamentarti continuamente, mi fai venire il mal di testa!» mi prega appena prima di sfilare la camicia rivelando il suo petto scolpito e braccia atletiche e tatuate.

Rimango per un attimo a fissarlo, cercando di non darlo a vedere mentre è voltato di schiena e i muscoli flettono quando alza le braccia per infilare la maglia grigia. Poi scompiglia leggermente i capelli e si volta ancora verso di me, distolgo subito lo sguardo dalla sua figura.

«Perché siamo qua?» domando la prima cosa che mi viene in mente per non sembrare ossessionata da lui e dal suo aspetto.

Lui apre l'anta di un mobile per prendere un paio di coperte e lanciarle sul letto. «Non sei molto perspicace, vero?» mi osserva per un attimo con una smorfia attonita dipinta in volto, «Tornare a casa non sarebbe sicuro stasera.»

«Oh, mi succede tutti i giorni di dovermi nascondere dopo aver assistito ad una sparatoria!» il sarcasmo colora ogni mia parola mentre io tengo sollevati entrambi i palmi delle mani.

«Credi di essere molto simpatica, vero?» mugugna, i suoi bellissimi occhi allungati non perdono alcun mio movimento.

«Beh in effetti-» fingo di riflettere con l'indice che batte contro al mio mento, «Sì.»

«Dio, quanto sei fastidiosa!» scuote la testa tra sé e sé e si lascia cadere sul letto, senza smettere di guardarmi con attenzione.

«La sensazione è reciproca.»

«Sai,» passa una mano tra i folti capelli e abbassa il ciuffo che ormai cade sulla sua fronte, «dovresti portarmi rispetto siccome sono il tuo capo.»

«E tu dovresti portarmi rispetto siccome ho rischiato di morire per colpa tua.» grugnisco incrociando le braccia al petto e spostando il peso su un solo piede, ormai dolorante per colpa dei tacchi.

«E continui a rischiare di morire parlandomi così.» alza l'angolo della bocca mentre mi minaccia, sembrando piuttosto soddisfatto e maledettamente attraente.

«Stronzo.» farfuglio tra me e me.

«Cos'hai detto?» chiede corrugando la fronte e, in un attimo, si alza per raggiungermi a passo svelto e, dalla sua espressione, capisco di aver esagerato nel momento esatto in cui le sue iridi si incontrano con le mie.

Se uno sguardo potesse uccidere, io sarei già morta.

Serra le labbra e la sua mascella diventa più scolpita, credo che stia digrignando i denti. Il mio cuore salta un battito quando afferra vigorosamente il mio mento con una mano e avvicina le sue labbra alle mie fissando con intensità i miei occhi come se dovesse memorizzarli.

«Devi stare attenta.» sibila con il tono di voce duro e minaccioso, «Forse mi hai scambiato per uno di quelli che ti scopavi in quello squallido night club.»

Vorrei urlargli contro e difendermi ma rimango in silenzio, immobile, impietrita dal suo sguardo infuocato, dalla sua espressione cattiva e dalla sua voce bassa ma potente, leggermente roca e così profonda da provocare un gelido brivido lungo tutta la mia schiena.

Mi conferisce un'ultima, severa occhiata prima di spingere via il mio viso e lasciare la presa sul mio mento. Non riesco a togliergli gli occhi di dosso mentre indossa una giacca, cammina fino al tavolo per raccogliere la sua pistola e le sigarette che mette nella tasca del giubbotto.

«Se hai freddo trovi altre coperte là dentro.» mi informa indicando l'armadietto con il capo ma non mi guarda, si avvia verso l'uscita. Mi stava urlando in faccia fino a due secondi fa, e ora mi indica le coperte?

«E dove dovrei dormire?» domando con le mani sui fianchi guardandomi intorno per constatare che c'è solo un letto e nemmeno molto grande.

«Mh?» si volta appena prima di uscire con la sigaretta in bocca già pronta per essere accesa, «Dormi sul tavolo, su una sedia, dove ti pare.»

Esce, sbattendo la porta e lasciandomi lì da sola, infreddolita ed impaurita.

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