28.

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Per giorni Ace era rimasto chiuso in quella stanza come Marco gli aveva detto di fare. Soltanto alla sera raggiungeva Jade e l'amico, mangiava e chiedeva delle sue condizioni, per poi tornare mestamente nell'altra camera.
Spesso, di notte, si svegliava e andava a controllare: soltanto allora, non riuscendo a trattenersi, si avvicinava alla ragazza in perenne stato comatoso e le appoggiava la mano tra i capelli, premendole un bacio sulla fronte. Lasciava scorrere le lacrime in silenzio, prima di tornarsene a cercare di dormire, ben consapevole che se Marco l'avesse visto, si sarebbe sicuramente arrabbiato.

Una mattina grigia e nuvolosa, però, Ace non viene svegliato dal suo sonno di stanchezza dalla solita frase gentile del dottore.
Marco, infatti, prende a sbraitare qualcosa e lo desta da un sogno lugubre e confuso, mettendolo sull'attenti con preoccupazione.

"ACE!" urla di nuovo, sturandogli le orecchie "Si è svegliata!"

Senza nemmeno preoccuparsi delle condizioni pietose in cui si trova, il ragazzo scatta in piedi e si lancia verso la porta. Una mano blu incandescente, però, lo blocca:

"Senti, è meglio se ci andiamo piano, ok? Non so come reagirà..."
"Cosa vuoi dire?!" chiede con un tono preoccupato, ma nel contempo irritato.
"Mi ha riconosciuto, ma non ha chiesto di te, ancora."

L'ha aspettata per tutti quei giorni, maledicendosi ogni ora. Ha mangiato forse due volte da quando quel disastro è successo. Come può contenersi, ora?
Marco però è davvero serio e lui se l'è promesso: qualsiasi cosa, purché sia per il suo bene. D'accordo.

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Il dottore è il primo ad entrare nella stanza: Ace aspetta dietro allo stipite della porta socchiusa, origliando qualche parola.
Jade lo ha salutato e dopo qualche frase una battuta l'ha fatta ridere: Dio, quella voce e quella bellissima risata, quanto gli sono mancate. Le lacrime gli pizzicano gli occhi, ma non può farsi vedere in quel modo. Si pettina velocemente i capelli con le mani, restando ad orecchio teso qualora Marco gli avesse dato l'ok.

Lo sente pronunciare il suo nome, ma dalla ragazza non compare risposta.
Il cuore gli picchia come un martello e si sente quasi svenire: i passi del dottore risuonano leggeri sul pavimento legnoso e si fermano davanti alla porta, assieme al respiro di Ace.
Con un cigolio acuto la porta gira sui cardini e gli occhi preoccupati del ragazzo incontrano quelli di Marco: l'uomo gli fa un cenno con la testa, ma la sua espressione non sembra delle migliori.

Eccola, finalmente, la vede.
Seduta nel letto, coperta dal lenzuolo candido e avvolta in una veste leggera. Lo sta osservando con gli occhi stanchi, ma attenti, i capelli ricadono in boccoli spettinati ai lati del suo viso teso.
Non vede l'ora di specchiarsi in quelle iridi d'inchiostro, il sorriso si espande sul suo volto senza che se ne renda conto.

"Jade!" esclama, avvicinandosi.
Ma qualcosa lo blocca: il suo sguardo, improvvisamente, si fa cupo e spaventato. La ragazza stringe i pugni attorno al lenzuolo e appoggia la schiena alla testiera del letto, quasi cercasse di indietreggiare attraverso il muro.

Come aveva lasciato intuire l'espressione di Marco, qualcosa non va. Jade è terrorizzata, da lui.

"Vi lascio..."
"NO!"
Il modo secco con cui zittisce il dottore ne è la conferma. Lei non vuole restare sola con lui, anzi vuole stargli il più lontano possibile.
"Jade, sono io..." mormora Ace scoraggiato, abbassando fino al limite dell'udibile il tono di voce.

Compie qualche passo e raggiunge il letto, ma ora è palese, la vede tremare. Quando appoggia una mano sui suoi piedi, la sente ritirarsi di scatto sotto al lenzuolo: le mani le scompaiono in una nuvola nero pece e di nuovo gli rivolge quello sguardo atterrito.

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