46. Immagino che dovrò trovarti un altro soprannome

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Cerco ti utilizzare la poca forza che mi resta per giocherellare con i suoi capelli, ma ho esaurito le energie, così poso delicatamente la mano sul suo petto e lascio che il mio corpo si riprenda. 

«Tutto bene?» domanda. Il suo braccio sinistro è sotto la mia testa a mo' di cuscino, mentre l'altro avvolge saldamente il mio fianco. 

«Più che bene» sorrido a fatica, respirando profondamente. 

«Mi dispiace se... se è stato... insomma, se ho fatto qualcosa di sbagliato» mormora. Mi stringo più forte al suo torace mentre il mio cuore di ghiaccio si scioglie lentamente. Sapere che non sono l'unica ad essere piena di insicurezze mi fa stare un po' meglio. Siamo come complici: sbagliamo insieme, ma siamo il rimedio reciproco ai nostri problemi.

«Non hai fatto nulla di sbagliato. E' andato tutto esattamente come doveva andare» dico con un filo di voce. 

Sento un sospiro di sollievo, talmente tanto forte da sollevare la mia testa, poggiata al suo petto. 

«Hai sonno?» domanda. 

Scuoto la testa. «Ancora no. Però ho fame, tu?» alzo leggermente la testa per conoscere la risposta.

«Io ho già mangiato abbastanza» ridacchia, guadagnandosi un pizzicotto sul braccio. «Scherzavo!» si contorce. 

«Vado a prendere qualcosa da mangiare, se mio fratello non ha già lanciato tutto il cibo dalle finestre e imbrattato la casa di panna montata» roteo gli occhi e, lentamente, mi metto a sedere e cerco di alzarmi. 


Thomas


Con la mia maglietta addosso, si alza dal letto. Barcolla un po' e, dopo nemmeno due secondi, ricade sul letto, con le gambe tremanti. «Merda» bofonchia. «Potevi anche andarci più piano» mette il broncio, rifugiandosi nuovamente sotto le coperte.

 «Guarda che non scherzavo quando dicevo che non ti avrei fatta camminare per giorni» soffoco una risata, mentre alzo il piumone affinché possa rimettersi al caldo. Mi fulmina con lo sguardo, così cerco un modo per rimediare. «Vado io a prenderti qualcosa» annuncio, scattando in piedi. 

«Fai in fretta e mettiti qualcosa sopra le mutande, magari» lancia un'occhiata ai miei boxer e mi fa cenno di indossare i pantaloni, attualmente ammucchiati sul pavimento. 

«Torno subito, madame» esco dalla stanza e mi avvio verso il piano di sotto. 

Le persone non sembrano affatto cambiate o più stanche rispetto a quando siamo entrati in quella stanza, circa due ore fa'. 

Tutti ballano ancora vivacemente, la musica è a livelli costantemente spropositati e ci sono ubriachi madidi di sudore in ogni metro quadrato della casa. 

Non faccio caso alle persone intorno a me e vado in cucina. Sembra essere la stanza più tranquilla della casa, a giudicare dal fatto che ci siamo soltanto io ed un altro ragazzo.

Solitamente, chi alle feste va in cucina, è ancora abbastanza sobrio da arrivarci senza svenire, il che rende questa stanza più sicura di altre. 

Ad ogni modo, apro il frigorifero e prendo qualcosa di fresco per Meg. Gelato alla menta. So che va pazza per questo gusto. Dice che è fresco, non appesantisce l'alito, ma è comunque dolce e zuccheroso. Apro il cassetto delle posate e passo in rassegna tutti i cucchiai, fino a che trovo il suo amato prediletto. L'ultima volta ho rischiato di essere picchiato a costo di portarle il suo preferito. 

«Fa così caldo?» una voce alle mie spalle mi fa sobbalzare. Merda, merda, merda. Ethan. Faccio scivolare il gelato nel lavello di nascosto, mentre mi volto nella sua direzione con un sorriso parato in faccia. 

«Già, uhm... testosterone?» azzardo, con schiaffeggiandomi mentalmente. Sono un idiota. 

«Dove eri finito? Non ti vedo da ore, amico» dice, biascicando leggermente. Penso sia un po'ubriaco, ma non più del solito. 

«Sono sempre stato qui, forse dovresti smettere di bere, così mi vedresti» gli suggerisco sorridendo. Dopodiché lo afferro per le spalle, trascinando lui e il suo bicchiere in un'altra stanza. 

Poi corro di nuovo in cucina a prendere il gelato e mi avvio al piano di sopra. 


(Scusate, è più forte di me)


Quando apro la porta, gli occhi attenti di Meg si illuminano. «Stai un po' sbavando, non so se per me o per il gelato, ma accetto bugie per rendermi orgoglioso» bisbiglio, richiudendo la porta con il piede. 

«In realtà entrambi» allunga le braccia per farmi segno di raggiungerla e così faccio. Mi stendo accanto (più che altro sotto) a lei e rimetto il braccio attorno alle sue spalle. 

«Buon appetito a me, allora» sorride, prima di imboccarsi da sola con un camion di gelato. 

«Vai piano!» allungo la mano sulla sua, ma lei è più svelta e la porta al mio viso, sporcando il mio naso di gelato. «Dovevo aspettarmelo».

Lecca via ogni residuo di cibo dal mio naso, arricciando il suo alla fine. «Ora puoi vendicarti» si spalma del gelato sulle sue labbra e resta in attesa. 

Dovevo aspettarmi anche questo. Mi avvicino a lei e elimino ogni traccia di gelato dalla sua bocca. Poi, chiaramente insoddisfatto, afferro il cucchiaio e lo faccio scivolare lungo il mio collo, arrivando alla clavicola. Ma lei fa fuori anche quello. 

Si toglie la maglietta, lasciando tutto il suo corpo in affidamento alla sola biancheria intima che, scommetto non a caso, è quasi meglio di tutte quelle che mi sia capitato di vedere. Ha buon gusto, non posso negarlo. 

Il gelato percorre una scia che va dallo sterno al ventre, scorrendo perfettamente sulla sua pelle liscissima. 

«Tu non vuoi arrivare intera fino a domani mattina» le faccio notare, prima di passare le labbra su ogni centimetro del suo piccolo torace.

«Ora fai fare a me» mi spinge sul materasso, prende il suo amato cucchiaio e lascia una striscia di gelato che arriva fino all'elastico dei pantaloni. Il freddo che sento è una tortura e una cosa fantastica allo stesso tempo. Contrasta con le sue labbra calde, che stanno scendendo sempre di più sul mio addome. 

Penso di stare trattenendo il respiro, mentre lei insiste sul basso ventre. Piccola bastarda. 

Le sue manine graziose passano dal petto ai fianchi in un battibaleno e ne accarezzano la pelle. Resta concentrata su quella zona per pochi secondi, poi si stende sul letto, dandomi le spalle. 

Resto completamente spiazzato, mentre lei si sistema per dormire. «Ah, buon Natale, cavernicolo» dice. 

«Buonanotte, vergin- ah, giusto... immagino che dovrò trovarti un altro soprannome» sorrido soddisfatto tra i baffi e mi stendo dietro di lei, avvolgendole la vita con un braccio. «Buon Natale». 

La guardo, aspettando che si giri, ma lei dorme già. 







Scrivere capitoli spicy sta iniziando a piacermi

- Elle

Il migliore amico di mio fratelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora