28. Great things take time

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Prendo una maglietta dal cassetto in fretta e furia. 

Jeans neri attillati e top bianco mi sembrano perfetti per andare a scuola l'ultimo giorno prima delle vacanze natalizie. Cambio subito idea e cerco un maglione nel cassetto più basso. 

Raccolgo le scarpe da terra senza rallentare la corsa da agente segreto. Corro al piano disotto afferrando lo zaino ed esco fuori di casa sbattendo la porta tanto da rischiare di far crollare la parete. Apro lo sportello dell'auto di Thomas e mi ci fiondo dentro. «Siamo già in ritardo di due ore e mezza, se mi sfondi lo sportello della macchina non fai prima » borbotta. 

Lo ignoro e mi infilo le sneakers che ancora tenevo tra le mani. «Oh mio Dio, verrò espulsa il giorno del ballo... » piagnucolo con le mani fra i capelli. 

«Potevi pensarci prima di impiegare quarantacinque minuti per farti la piastra ai capelli » commenta. 

«Taci e parti! » 

Altri quindici minuti sono andati con il viaggio, perciò sono in ritardo di due ore e tre quarti. Grandioso. Ci fiondiamo contro la porta e prendiamo a correre nel corridoio. Una figura bassa e cicciottella si pone davanti a noi. La professoressa di educazione fisica ci sta fissando con aria impassibile e severa. «Come giustificate la vostra assenza? » sibila con tono acido. 

Divento improvvisamente rossa e non dico niente. Mi limito a dare una spallata a Thomas nella speranza che trovi una scusa. «Noi... ehm... è... morta mia zia Polly... Meg è rimasta con me per consolarmi, non si arrabbi con lei » si finge afflitto.

«Oh signor Walsh, mi dispiace tanto... condoglianze » sussurra apprensiva. 

«La ringrazio » risponde lui per poi riprendere a camminare. 

Lo seguo tentando di non ridere. «Da quando hai una zia che si chiama Polly? »

«Da quando io trovo una soluzione ai tuoi casini? Oh... diciamo sempre » ridiamo entrambi ed entriamo in classe. 

Tutti i ragazzi si girano nella nostra direzione. Siamo nell'aula di scienze applicate e suppongo gli studenti siano del primo anno. «Guardate un po', ragazzi» esordisce la professoressa. «Questo è un raro esempio di cosa non vi conviene diventare tra quattro anni » spiega indicandoci. Tutti sghignazzano, Thomas compreso. Tutti tranne me. E' un miracolo che non sia finita nuovamente in punizione. L'ultima settimana passata a scrivere temi sui nativi americani non è stata proprio uno spasso. 

«Ehm... io dovrei avere letteratura per la prossima ora» bisbiglio imbarazzata a Thomas. 

«Ti accompagno: ho un'ora insieme a voi... il preside vuole che io capisca "cosa mi aspetta se non alzerò la media dei miei voti " perciò devo stare con i piccoli »

Gli faccio la linguaccia ed esco dalla classe. Mi segue nel corridoio e ci avviamo verso l'aula giusta. Apriamo la porta e questa volta nessuna faccia da primino terrorizzato da uno dell'ultimo anno invade il mio campo visivo. 

Senza fare troppo caso alle voci pronte a parlare del nostro ritardo, vado all'ultimo banco. Thomas prende il posto al mio fianco. 


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Superando la folla, riesco a raggiungere l'uscita. Ho passato tre ore a chiedermi cosa avrebbe fatto la temibile Audrey al mio ritorno. Non è stato il massimo. Per non parlare del rumore insopportabile che emetteva Thomas con la bocca, scontrando gomma e temperino in un'esplosione. Penso che, ora come ora, avrei preferito passare quelle tre lunghe ore con Jessica, rinchiuse in una stanza da isolamento. 

Il migliore amico di mio fratelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora