" 'Cause you are a sky, you're a sky full of stars "
- Coldplay
Cerco di tenere aperta la porta in vetro con il fianco, attenta a non far cadere la mia coca-cola e le crocchette di pollo. Lo guardo divertita mentre inciampa per la terza volta sul vassoio, riuscendo però a salvare la sua cena. «Le patatine del McDonald's fanno schifo» commento, mentre andiamo a sederci in una tavolo all'aperto.
«Ma tu di più» ribatte lasciandomi una pacca sul sedere, poco dopo essersi soffermato a guardare il modo in cui scolo il mio bicchiere e lascio che un soave rutto abbandoni le mie labbra.
«Se cerchi di battermi, non hai idea di con chi hai a che fare» dice con aria di sfida, prima di poggiare le labbra sulla cannuccia e prendere un grande sorso di coca.
Non so se descriverlo più come un ruggito o come una tromba con qualcosa incastrato dentro, ma di sicuro mi batte in ogni modo possibile.
«Allora ti sfido a centrare la mia bocca con le patatine» propongo, lasciandomi cadere su una panchina. «Aaaaa» emetto un suono fastidioso spalancando la mascella, in modo da fargli capire che può tirare.
«Fai apposta?» si passa una mano sul viso, per poi distogliere lo sguardo e mordersi il labbro. Ah.
Stendo le labbra in un sorriso imbarazzato, ma riprendo subito ad aspettare le patatine, nonostante non mi piacciano molto. Si arrende e afferra una patatina, lanciandomela in faccia. Riesco a centrare la bocca, ma sono costretta a faticare per non farla cadere a terra.
«Mhm, te la sei cavata» sorrido ingozzandomi con le crocchette, sotto il suo sguardo compiaciuto.
«Dove hai intenzione di andare dopo?» domanda, sorseggiando la bevanda all'interno del bicchiere.
«Sorpresa!» incrocio le gambe davanti a me e incastro il mio bicchiere nella piega del ginocchio.
«Hai rotto il cazzo con tutto questo silenzio» borbotta, rubandomi una crocchetta da sotto il naso.
«Ehi!» grido, lanciandogli una patatina sul naso, che lui riesce ad afferrare con le labbra, così adotto il mio caro vecchio metodo del pugno sulla spalla e riprendo a mangiare, sotto il suo sguardo divertito.
____
Se fino a qualche minuto fa' l'unico suono presente era quello delle mie converse sull'asfalto, ora la musica a tutto volume rimbomba nelle nostre teste come se dovesse demolire qualche neurone al suo interno.
«Un luna-park?» storce il naso, mentre il suo braccio resta avvolto alle mie spalle per farsi trascinare meglio.
«Esattamente» dico soltanto, trascinandolo tra le varie attrazioni.
Bambini insopportabili sfrecciano davanti a noi, aumentando particolarmente la mia voglia di bucare i loro palloncini a morsi (e non solo quelli di plastica). Urla e risate arrivano da ogni dove, perciò mi concentro sulle giostre, proprio come farebbe una piccola mocciosa.
«Quello.»
Un piccolo tendone situato davanti a noi riesce ad illuminarmi gli occhi. Il gioco delle lattine.
«Vuoi un peluche?» domanda e non perdo nemmeno un secondo per annuire.
«Uuu! Quello enorme! Lo voglio!» sono sicura che se la luce non fosse poca e avessi uno specchio, potrei vedere nitidamente dei cuoricini nelle mie iridi. Quello è esattamente il peluche che ho sempre desiderato vincere in posti come questo, uno di quelli che potrebbe essere due volte il tuo corpo e comunque non ti farebbe paura.
Non sprecherò la mia opportunità di vincerlo ora che un tiratore di palle palestrato è disposto a fare quello che voglio. «Cinque dollari» dice la signora al di là del tavolo.
«Dieci palline. Se fai cadere tutte le lattine, avrai quello» indica il mio bellissimo peluche.
«Puoi farcela» sorrido sbattendo le mani come una bambina con un gelato davanti alla bocca che non vede l'ora di mangiare.
«E in cambio che mi dai?» domanda, lanciando la prima pallina, che manca il bersaglio volutamente.
«Un calcio in culo»
Grugnisce, ma poi riprende a tirare, facendo fuori due file di lattine in un colpo. Sorrido soddisfatta, restando con il fiato sospeso per l'ultimo tiro. Con una concentrazione mai vista sul suo volto, colpisce l'ultima fila, facendo crollare tutti i bersagli.
«Sì!» strillo correndo verso il mio peluche.
La signora e Thomas ridacchiano alle mie spalle, costringendomi a voltare lo sguardo su di loro e incrociare quello di ciuffetto, che resta lì fermo ad aspettare qualcosa. Roteo gli occhi, ma sorrido. Mi avvicino a lui e, con un braccio impegnato a sorreggere l'orso, mi fiondo tra le sue braccia.
Inalo il profumo della sua felpa grigia, ormai consapevole che la liquirizia ha sempre la meglio sui suoi abiti.
«Come lo chiamo adesso?» sbuffo, facendo gli occhi da cerbiatta.
«Mhm... Bonnie, in memoria del pesce rosso che ho buttato nel water quando avevi nove anni» tenta e, dopo un attimo d'esitazione, accetto.
«Bonnie, sei fortunato: avrai il privilegio di salire sulla ruota panoramica» parlo all'ammasso di cotone.
Thomas si blocca, facendomi segno di saltare sulla sua schiena a mo' di koala, e così faccio. Mi trasporta fino alla ruota, per poi prendere due biglietti.
«Ci sono le telecamere qui?» domando, una volta entrati nella piccola cabina priva di un tetto.
«Perché? Hai intenzione di saltarmi addosso?» domanda spavaldo, sedendosi sul sedile.
Mi siedo sulle sue gambe, lasciando che sia lui a tenere il peluche.
«Avresti qualche problema al riguardo?» domando, vicina al suo orecchio.
«No, figurati, non aspetto altro, dolcezza» spiega, avvicinandosi a sua volta al mio viso e facendo sfiorare i nostri nasi. «Soltanto che ultimamente mi sento un cazzo di ninfomane» ammette. «Non so come fai tu a stare sempre così calma» dice mentre le nostre labbra rischiano di toccarsi.
«Autocontrollo» rispondo semplicemente. «E' molto semplice» spiego, lasciando un rapido bacio a stampo sulle sue labbra e alzandomi dal divanetto per vedere il panorama.
Manhattan è davvero bella di sera: milioni di piccole luci risplendono nel buio dei palazzi spenti, simili a lucciole in un campo di girasoli, che con la notte si spengono e lasciano a qualcun altro la magia.
«Mi è improvvisamente venuta voglia di tornare a casa, sai?» dice, comparendo alle mie spalle. Percepisco in suo petto tonico contro la mia schiena e il mio sedere che cerca di evitare quel contatto.
«Cosa non ti è chiaro di "autocontrollo"?» domando, staccandomi dalle sue labbra, che si sono già avventate sul mio collo.
«Sono sopravvissuto senza per diciotto lunghi anni» fa spallucce. «Perciò puoi lasciarti sc-» gli rifilo una gomitata tra le costole, prima che continui.
«Beh, penso che per oggi tu ne abbia avuta abbastanza» commento.
«Non mi accontento con così poco» spiega molto lentamente.
«Beh', tra qualche ora, quando ci sveglieremo, potrai fare di questa bambina cresciuta quello che vuoi» dico, spiegando le braccia, mentre le sue restano avvolte sul mio ventre e la mia testa si lascia andare all'indietro, finendo sulla sua spalla.
«Prima andiamo a letto, prima ci svegliamo» osserva. «Andiamo a casa.»
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Il migliore amico di mio fratello
Romance[ - 𝐞𝐥l𝐞𝐧𝐧𝐞- ] "Avevamo solo una cosa in comune: passavamo i weekend nella stessa stanza in fondo al corridoio a gridare. Lui le parole delle canzoni, io gli insulti per far abbassare il volume" Mi sono sempre sentita la persona migliore per i...