47. Bleah

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Penso che dividerò questo capitolo in
due parti, anche se avranno titoli diversi


Apro gli occhi controvoglia, perché questo è decisamente il risveglio migliore della mia esistenza, ma devo dare segni di vita. 

Ho la vita circondata dal suo braccio e le gambe ingrovigliate alle sue. Emana il calore di cui ho bisogno in questo momento. La sua testa è poggiata alla mia nuca e il suo naso sfiora leggermente il mio collo, lasciando che il fiato caldo mi accarezzi la pelle. 

Non voglio svegliarlo, perciò mi volto nella sua direzione e lo guardo in viso. Ha labbra semiaperte, i capelli scompigliati, una mano sotto il cuscino. Ronfa beatamente sotto il mio sguardo attento. 

Poggio la mia mano sulla sua guancia e sento un lieve strato di barba in contrasto con la mia pelle delicata. «Buongiorno» biascica in un sorriso sghembo, ancora prima di aprire gli occhi. 

«Buongiorno» arrossisco, spostando la mano dal suo viso. «Pensavo stessi dormendo.» 

«Pensavi male, mutandina» lo fulmino, prima di scostare le coperte dalle mie gambe. «Ehi, dove vai?» mi segue attentamente con gli occhi, mentre indosso dei pantaloncini.

«A fare colazione... abbiamo dei coinquilini, ricordi?» cerco di reggermi in piedi: le gambe sono leggermente doloranti ma, per la prima volta nelle ultime settimane, non ho il mio solito mal di testa mattutino. Non può che essere un miracolo.

«E ci vieni vestita così?» mi scruta, scivolando con lo sguardo dalla mia testa ai piedi nudi. Ho dei pantaloncini piuttosto corti per essere indossati in inverno e la camicia di ieri del signorino ronfante.

«Almeno io qualcosa addosso ce l'ho» ribatto, cercando di sciogliere qualche nodo nei miei capelli arruffati. 

«Be', se ci tieni molto, puoi starci tu addosso a me» sorride stupidamente, senza staccare per un secondo gli occhi dal mio corpo. «Ho fatto proprio un bel lavoro, ieri» si lascia sfuggire, indugiando sul mio collo. 

Merda, merda, merda. 

Non i succhiotti, Thomas...
Corro in bagno con la velocità con cui mia madre riesce a tirarmi schiaffi. Lo specchio, quel povero sciagurato che sfrutto ogni giorno, oggi ha un carico viola melanzana da reggere. 

Cazzo.

Questa proprio non ci voleva.

Ci sono segni rossi e violacei - molto più marcati di quanto potessi immaginare - che percorrono ogni centimetro del mio petto, a partire dal collo, fino al seno.

«Voglio vedere se quel coglione di Bryent ti mette ancora le mani addosso, con quelli» ammicca, poggiandosi allo stipite della porta, rilassato.

«Be', forse lui no, ma mio fratello le metterà addosso a te, se li scopre» striscio violentemente con il palmo della mano sulla mia pelle nello stupido tentativo di fare magicamente scomparire i segni.

«Non puoi metterci il mescara?» tenta il rosso.

«Il mascara, intendi, forse» lo correggo. «E comunque no, non ci va il mascara, se non voglio sembrare una detenuta tatuata» roteo gli occhi, afferrando tutte le boccette di fondotinta, correttore, primer e cipria che possiedo. 

«Vabbè, dai...» sbuffa. «Ti aspetto in camera, madame, così puoi incipriarti le tette in pace» ridacchia, lasciando un bacio sulla mia testa.

Il migliore amico di mio fratelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora