Epilogo.

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L'indomani, come concordato, Rebecca si presentò in nosocomio. Cercò di tenere a bada il vulcano interiore, che non cessava di eruttare domande, emozioni e nervosismo. Se era ancora lì, se la morte non l'aveva voluta, ciò stava a significare che, come aveva detto donna Ginevra, aveva ancora una missione da compiere.

"Buon giorno, eccomi: prontissima e carica per apprendere da voi tutto ciò che ci sarà da imparare"- disse salutando i medici e le infermiere presenti.

"Bene, mademoiselle Rebecca, sono felice che il vostro entusiasmo si sia mantenuto vivo. Se ben ricordo, ci eravamo già detti tutto riguardo alla vostra nuova "missione". Tutto tranne una cosa, anche se credo che voi già la sappiate e l'abbiate messa in conto!"-esordì Dubois nell'accoglierla.

"Ovvero, dottore?"- domandò la ragazza.

"Pur con tutto il nostro impegno, ci saranno sempre dei pazienti che non potranno essere salvati. Ciò sarà frustrante, e potrà assalirvi la tentazione di gettar via la spugna. In quei momenti, dovrete ricordare che un bravo medico o una brava infermiera non dismettono il camice solo perché hanno fallito una volta. Finché riusciranno a preservare anche solo una vita degna di essere vissuta, avranno sempre un motivo per continuare. Fate sempre le tutto con il cuore, con tutta l'umanità di cui siete capace, ma anche con lucidità e sangue freddo. Intesi?"

"Perfettamente, dottore! Non mi fermerò di fronte a nulla"- rispose ferrea la ragazza.

"Ottimo! Dopo aver testato a fondo le vostre capacità, e soprattutto una volta conseguito l'attestato, potremo parlare di retribuzione"- le fece presente il medico.

"Io non ho mai parlato di retribuzione. Non voglio compenso alcuno. Lo sapete che non mi manca certo la pecunia. È sempre stata mia intenzione svolgere questa attività in maniera del tutto volontaria!"- ribadì a chiare lettere Rebecca.

Dubois strabuzzò gli occhi: "Beh... quand'è così, la cosa vi fa davvero onore!"- ammise.

Iniziò così il percorso della giovane Vicenti per ricominciare una vita nuova di zecca. La sua costanza e il suo impegno, come la gentilezza e l'umanità dimostrate nei confronti dei pazienti, avevano lasciato di stucco tutti. Nei pochi ritagli di tempo, la neo-infermiera adempì a un'altra necessità spirituale che da parecchio avvertiva: scrivere la sua storia.

"Miei cari lettori, avremmo dovuto essere in due a scrivere queste pagine, che avrebbero dovuto presentare un finale ben diverso. E siamo in due, ve lo assicuro: anche se fisicamente la mano è solo la mia. In corso di lettura comprenderete cosa intendo. Non c'è niente di romanzato, niente di inventato: solo nuda, cruda e dolorosa verità, e sì, anche un po' di rinascita, quella che meritano tutti. La protagonista che incontrerete all'inizio di questo romanzo non sarà quella che ritroverete nelle ultime pagine. La prima, quasi di sicuro, la odierete. La seconda, invece, è probabile che riusciate ad accettarla, a comprenderla... e chissà che non finiate per fare il tifo per lei. È questa la sfida che vi propongo: riuscire a cogliere quale di queste due donne sia quella più vera. Siete sicuri che sia così facile "catalogare" la gente? Esistono i "buoni" e i "cattivi"? Qual è la linea di confine che circoscrive l'ingresso nell'uno piuttosto che nell'altro girone? Signori, siamo tutti semplicemente umani".

Il suo prologo si concludeva con un ulteriore ammonimento: "E non scordate un'altra cosa: sia che tu faccia il male, sia che pratichi il bene, tutto a bussare alla tua porta sempre viene. Sono Rebecca Vicenti, non scattate sull'attenti nell'udire il mio nome, voglio solo raccontarvi quella che fu la mia storia!"

L'amore avvelenatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora