L'amore sa essere malattia e medicina

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A villa Guglielmi, i giorni continuavano a scorrere lenti e velocissimi al tempo stesso. Rebecca e Beppe non ebbero alcun colloquio chiarificatore fino a quel momento. Agli inizi della sua permanenza, lei aveva innumerevoli volte tentato di riprendere il discorso lasciato in sospeso, e ogni volta, l'atteggiamento del marchesino era stato il medesimo. La zittiva ricordandole che a lui bastava averla al suo fianco. Valenti e il collega francese, pure si stupirono degli evidenti e insperati miglioramenti delle condizioni di salute dell'ammalato. Sembrava che la presenza di Rebecca avesse fatto scattare nell'intero organismo una sorta di molla, che spingeva Beppe a lottare per la vita. Quella stessa vita che, prima dell'arrivo della Vicenti, egli era sul punto di rifiutare: gli appariva vuota e priva di scopi, non degna di essere vissuta.

"Forse siamo davvero sulla strada giusta!"- si erano detti i due medici. Non concordarono però sul motivo di quello che sembrava un processo di guarigione avviato al meglio.

"L'amore può essere la peggior malattia del mondo, ma anche la medicina più efficace!"- s'era lasciato sfuggire il Valenti.

"Che dite, collega! Magari fosse così semplice! Se bastasse essere innamorati per guarire, allora soccomberebbero pochissimi pazienti a ogni tipo di morbo!"- l'aveva smentito il francese Dubois-"Bisogna ringraziare solo la scienza, e tener di conto che anch'essa ne ha di strada da fare!"- aveva continuato con il singolare accento natio.

Sta di fatto, che quel grigiognolo livido, lasciò il posto a un colorito più umano sulle gote di Beppe. Tornarono anche l'appetito e la voglia di sorridere. Con l'arrivo della bella stagione, fu possibile intraprendere quella cura di bagni di sole di cui i medici s'erano raccomandati.

I domestici, assieme alla stessa Rebecca, con l'ausilio di una lettiga, trasportavano Beppe in giardino. Il giovane adorava farsi adagiare sull'erba fresca e profumata, tra i fiori appena sbocciati. Lì, all'ombra delle chiome degli alberi da frutto, tornate rigogliose, filtrava la giusta quantità di raggi di sole. Gli stessi raggi che avrebbero dovuto recar gran beneficio alle fragili ossa del marchesino. Rebecca continuava a leggere per il suo Beppe. I medici gli avevano infatti consigliato di non sforzare la vista, notevolmente calata a causa della malattia, che non risparmiava neppure i nervi ottici.

I due continuavano a vivere quel loro amore paradossale e illogico. Era come se quella dannatissima malattia non fosse mai esistita, come se Beppe non avesse potuto andarsene da un momento all'altro e Rebecca non avesse mai dovuto perderlo. Pochissimi erano i momenti in cui all'orizzonte di un futuro incerto, tornavano ad addensarsi le nubi. Accadeva quando rivolgevano un pensiero e una silenziosa preghiera agli altri giovani morti in maniera orribile.

"No, a lui non succederà, non adesso che ci siamo ritrovati in tutto e per tutto"- pensò Rebecca tra sé.

"Non posso, non devo soccombere! Devo lottare per lei, che altrimenti morirebbe sbranata dai sensi di colpa"- si disse invece Beppe.

"Sul serio io... non credo che dovremmo ancora continuare a fingere che vada tutto bene. Certo... vorremmo che fosse così, lo desidereremmo sopra ogni cosa, ma..." – gli disse lei un pomeriggio.

"Ascolta, Rebecca, credo sia già considerevole il modo in cui psicologicamente ho cercato e sto cercando di accettare la cosa, oltre che di affrontarla. Non ti pare? Ne parleremo, sta tranquilla, ma... non adesso! Non me la sento ancora. Ti chiedo solo questo"- le spiegò Beppe.

"Scusami, non volevo sembrarti ingrata. È che io non sono riuscita a perdonare me stessa. E sai, quando tu in primis non riesci a perdonarti, il fatto che ci riescano gli altri, finisce per irritarti, mentre dovrebbe solo inorgoglirti.

L'amorevolezza e l'impegno con cui Rebecca si prendeva cura del loro figliolo, non era sfuggita ai Guglielmi, e in particolare a Donna Ginevra.

"Solo una persona realmente innamorata sarebbe capace di accudirlo in questo modo! Non v'è dubbio alcuno che questa ragazza ami mio figlio. Ma se lo ama... perché mai lo ha fatto oggetto di tanta crudeltà? "- si chiedeva la Marchesa, la cui confusione aumentava. In fin dei conti, ciò che contava, era constatare che il suo figliolo stesse iniziando a rifiorire. Sia i Guglielmi che i Vicenti si godevano dunque quell'apparente quiete, che entrambi ritenevano più che meritata, senza porsi altre inutili e pericolose domande.

L'amore avvelenatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora