Quando Rebecca si risvegliò era ormai notte fonda. La testa aveva smesso almeno in parte di dolerle, ma la sentiva vuota come uno di quei palloncini farciti di solo elio. Ci mise un po' a riappropriarsi della sua identità, così come del tempo e dello spazio. Realizzò di trovarsi in manicomio, mentre combatteva con il senso di nausea che le rivoltava le viscere. S'avvide d'avere i polsi liberi.
"Niente catene per la signorina Vicenti!"- aveva ordinato Demichele, ma Rebecca di questo non era ancora a conoscenza. Volle sapere se fosse giorno o notte, così corse alla finestra: era buio.
"Quella maledetta!" esclamò la giovane, a cui si era parata di fronte l'immagine strafottente e arcigna di quell'infermiera. Aveva ripercorso in sequenza quello che le aveva fatto e la detestava con ogni fibra del suo essere. Doveva parlare con il dottor Demichele: era sicurissima che quell'ordine non fosse partito da lui. C'era però anche un qualcos'altro che avrebbe dovuto dirgli: la verità! Afferrò al volo una campanella posta sul comodino. Non ricordava d'averla mai vista prima, ma che importava? Suonò insistentemente, per richiamare l'attenzione di qualcuno, chiunque fosse. Arrivò una preoccupatissima Clementina, la cui espressione subito si distese nel constatare che la ragazza stesse bene.
"Signorina, state bene grazie al cielo! Che spavento abbiamo preso tutti!"- le sorrise.
"Spavento? Non penserete che io creda che foste all'oscuro delle intenzioni della vostra collega!"- la disarmò Rebecca.
"Io... no... o meglio lo ero, nel senso che non credevo che avrebbe messo in pratica le sue minacce!"- tentò di difendersi Clementina.
"Vi assolve solo il fatto che non ricordo foste presente nel momento in cui è avvenuto il tutto!"- precisò Rebecca girandole intorno.
"No, non c'ero infatti, ho scoperto in quell'istante ciò che aveva appena fatto, ve lo posso giurare "- l'infermiera incrociò le mani su petto.
"Volete discolparvi per non aver avvertito il dottore dei piani della vostra collega? Se sì, ci sarebbe un modo molto semplice per farlo. Chiamatemi subito Demichele: prima testimonierete contro Valeria, affiche venga licenziata, e ci lascerete interloquire da soli"- le propose Rebecca.
Clementina la fissò: "Signorina, la mia collega Valeria è già stata licenziata, in maniera diretta e non certo gentile. Solo che... il dottor Demichele non è presente durante la notte. Non posso certo permettermi di telefonargli a casa e farlo accorrere. Abbiate la pazienza di aspettare domani, e io vi prometto che appena avrà messo piede in clinica, lo manderò da voi"- promise Clementina
"Grazie di essere accorsa e di aver compreso l'importanza della cosa"- sorrise Rebecca nel congedarla.
In un primo momento, non mise per niente in discussione il fatto che tutto sarebbe andato come aveva preventivato. Ad una più attenta riflessione, però, qualche dubbio le sovvenne. Demichele le avrebbe creduto? L'unico che avrebbe potuto avallare la sua versione di fronte al medico sarebbe stato l'avvocato. Egli sarebbe stato disposto a fare ammenda e a dire la verità? In fin dei conti, però, Ciliberti aveva sbagliato e lo sapeva. Lo aveva già dimostrato con il suo atteggiamento costernato al termine dell'ultima udienza. Era stato capace di scusarsi con le parole: non avrebbe quindi avuto remora alcuna nel farlo anche con i fatti, di fronte al suo amico Demichele, ammettendo di aver preso in giro anche lui. Sì: avrebbe funzionato! Questo pensiero la tranquillizzò, ma nonostante tutto, Morfeo si tenne ben lontano dal suo capezzale. La colse solo quando era ormai giorno e fu l'ingresso del dottore in stanza a troncare la brevità di quel dormiveglia.
"Signorina, mi è stato riferito che avevate urgenza di vedermi"- esordì Demichele. Il viso di Rebecca si illuminò: era il momento!
"Dottore, volevo parlarvi di qualcosa di molto importante- lo fissò seria la giovane.
"Vi ascolto!" - esclamò accogliente Demichele.
"Ecco, io non sono affatto matta. Ho solo ceduto alla proposta dell'avvocato Ciliberti, che mi aveva consigliato di farmi passare per svitata, in modo da poter alleggerire la mia pesante posizione. Sono colpevole. È stata una mia lucida scelta contagiare quei giovani di sifilide. Volevo punirli, anche se nessuno di essi mi aveva fatto alcun male. Per me andavano puniti in quanto rappresentanti di quel genere maschile che mi ha condotta alla rovina, ammazzata moralmente. Solo per uno di essi la cosa non è stata voluta"- spiegò di getto. Il dottore la fissava incredulo, a bocca spalancata. Non poteva essere vero! Nessuno avrebbe saputo recitare in maniera così impeccabile, neanche coloro che avevano studiato per farlo.
"Rebecca... cosa dite? Conosco Rocco Ciliberti da una vita. È mio amico, ed è persona assai onesta e corretta. Non si abbasserebbe mai a tanto, ve l'assicuro!"- ribatté lui, come stordito.
"Chiedeteglielo!"- tuonò Rebecca- "Convocatelo qui, e fate in modo che possa essere presente anch'io. Se egli è la persona corretta che voi tanto decantate, saprà anche ammettere un grosso errore!"
"Rebecca, vi rendete conto di ciò che mi state chiedendo?"- il medico le lanciò uno sguardo attonito
"Certo! E vi dirò di più: facciamo una scommessa! Se avrò ragione io, e Ciliberti confermerà tutto, voi troverete il modo di farmi uscire di qui. Se invece la ragione starà dalla vostra parte, come non detto! Non mi muoverò di qui, e vi resterà la soddisfazione di poter affermare che io sia ancora più matta di quanto mi abbiano descritta. Pensateci: non mi sembra che abbiate nulla da perderci!"- Rebecca seppe essere molto convincente. Ci riusciva sempre, quando si metteva d'impegno.
"E va bene: voglio accontentarvi"- esclamò il Demichele, un po' annoiato e sicuro che la ragione avrebbe sorriso a lui e non alla ragazza. Prese poi il telefono, compose il numero e chiese al centralino di essere messo in contatto con Rocco Ciliberti.
"Rocco, carissimo, ho bisogno che tu ti affacci qui in clinica quanto prima. Come sai, è ricoverata presso di noi una tua cliente"- gli disse.
Preoccupato, l'avvocato chiese se la ragazza non avesse commesso qualche scelleratezza.
L'amico medico lo tranquillizzò: "No, Rocco, niente di grave. È solo necessario che tu, la signorina Rebecca e io facciamo una chiacchierata. Ma preferisco non dilungarmi a parlarne per telefono. Quando hai un momento libero ti aspetto qui in clinica, d'accordo?"
L'avvocato assentì, e il dottore riagganciò.
"Siete contenta, Rebecca? Il vostro avvocato sarà qui appena possibile. Scommessa accettata"- disse rivolto alla ragazza, con uno sguardo in fondo al quale ella colse un non so che di strafottente.
STAI LEGGENDO
L'amore avvelenato
Ficção GeralPuglia, anni '20 del '900. Rebecca Vicenti è innamorata persa di Andrea Colaleo. Tutto è pronto: abito bianco ricamato, lista degli invitati e lauto banchetto. Custodita nel cassetto di un armadio, c'è la cospicua dote che la ragazza, figlia di una...