VI HA CANTATO L'ANGELO ALL'ORECCHIO?

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E fu così che Rebecca, convinta dalle parole di Chiara, chiese di poter avere un nuovo colloquio con il suo avvocato. Un sorpreso Rocco Ciliberti si presentò in parlatorio, curioso di sapere cosa mai potesse aver convinto la sua cliente più cocciuta a tornare sui suoi passi.

"Signorina Vicenti, non nego che sono rimasto basito quando mi è giunta notizia che volevate vedermi. Cos'è accaduto? Un Angelo vi ha cantato all'orecchio?"- esordì l'avvocato.

"Più o meno!"- replicò Rebecca, abbozzando un sorriso. La giovane proseguì: "Sentite, Ciliberti, voglio uscire di qui per potermi confrontare ancora col marchesino Guglielmi. Io devo rivederlo, devo provare a spiegargli ancora tutto e meglio. A proposito, avete sue notizie? Magari in paese è trapelato qualcosa circa le sue condizioni di salute!"

L'avvocato scosse la testa: "Desolato, signorina, ma ne sono all'oscuro. I Guglielmi sono persone molto discrete. Veniamo piuttosto alla nostra strategia difensiva. Ho meditato molto in questi giorni, giungendo alla conclusione che c'è un'unica carta da giocare per consentirvi di lasciare quanto prima la vostra cella!"

"Sarebbe? Sono disposta a qualunque cosa, lo sapete!"- disse la fanciulla con voce ansiosa.

"Infermità mentale!"- ribatté l'avvocato- "Dovrete affinare le vostre doti recitative al punto da sembrare una persona mentalmente disturbata. E non vogliatemene, ma credo che non vi risulterebbe affatto difficile!"- spiegò il Ciliberti.

Gli occhi nerissimi di Rebecca lo trucidarono: "Come vi permettete? Come osate darmi della pazza?"

"Non sto affermando che lo siate. Vi sto solo dicendo che dovrete ! Rispondete con un "non ricordo" alla maggior parte delle domande che vi verranno rivolte, affermate che, non so, delle voci demoniache vi abbiano suggerito di commettere quello che avete commesso. Magari ecco, dietro suggerimento della vostra stessa figlioletta morta, che reclamava vendetta. Tutto purché i giudici si convincano che non abbiate agito lucidamente!"- propose l'avvocato.

Rocco Ciliberti non aveva certo studiato psicologia, quella scienza riconosciuta come tale solo da non troppi anni, e che, nei piccoli borghi del Sud Italia ancora faticava ad attecchire, se non con metodiche semplicistiche e spartane. Le "cure" consistevano nel "confinare" i cosiddetti "senza rotelle" in apposite strutture, lontani dalla società perfetta che non doveva guardarli né ascoltarli. E dentro quelle mura, si sarebbero lasciati morire da soli, giorno dopo giorno.

Alla proposta dell'avvocato, la Vicenti esplose in una risata incontrollabile: "Ahahahahaha! No, davvero, non posso credere che siate serio! Ma su quale pianeta vivete, avvocato? Pensate che i giudici vi crederebbero? Mi verrebbe da chiedervi da quanto avete intrapreso la carriera forense, nonché il numero delle cause che siete riuscito a vincere. Un'impalcatura che crollerebbe alla minima folata di vento, lo sapete anche voi. Imbarazzante che un avvocato reputato tra i migliori, se lo faccia dire da una che come me è ignorante in materia, non trovate?"

"E va bene: scaricatevi pure con ogni sorta di insulti, se la cosa vi arreca sollievo. Per vostra informazione, il mio lavoro so svolgerlo egregiamente, e lo dico senza falsa modestia. Di fronte a una povera inferma di mente, anche i giudici più severi si impietosiscono!"- rispose Ciliberti senza perdere la sua proverbiale calma.

"Non ho intenzione di suscitare la pietà di nessuno, sappiatelo! È un sentimento che ho sempre aborrito!"- disse ferrea la Vicenti.

"Rebecca, non avete forse detto voi stessa che sareste stata disposta a tutto? Vi ripropongo dunque la domanda: volete rivedere o no il vostro Beppe, ben sapendo che potrebbe anche non restargli molto tempo?"- la prese in contropiede il principe del foro.

La giovane dovette arrendersi: "E va bene: faremo come dite. Accidenti, siete molto più scaltro di quanto avrei mai immaginato! Se siete riuscito a convincere una come me, non mi resta più alcun dubbio sul fatto che sappiate essere altrettanto persuasivo in aula!

"Molto bene, mi rallegra l'essere infine riusciti a trovare un punto d'incontro!"- replicò sollevato il Ciliberti- "La prima udienza si svolgerà ormai dopo le feste, visto che siamo già al 20 dicembre. Appena sarò stato informato della data, ve la comunicherò, e qualche giorno prima, ci incontreremo per definire a puntino il tutto. Siete d'accordo? E soprattutto, mi promettete che non ci saranno ripensamenti dell'ultimo minuto?

Rebecca capì poco e nulla di quanto le era stato riferito. Solo quella data le saltò alle orecchie: 20 dicembre. Come diavolo era possibile? Il calendario segnava già una data vicinissima alle festività che ella aveva da sempre amato, e non si era accorta dello scorrere del tempo.

"Come 20 dicembre? Ottobre, vorrete dire... o al massimo novembre, giusto?"- domandò balbettando.

"Dicembre, Rebecca. Tempus fugit!"- le fece eco l'avvocato.

"Sì, avete ragione, scusatemi! È che... qui i giorni sembrano così tristemente uguali... e non ti importa neppure di che giorno sia"- sibilò la giovane con voce oltretombale.

"Lo immagino benissimo!"- esclamò Ciliberti-"Non è per niente una condizione facile, e tra le sbarre si vorrebbe che Natale non arrivasse mai. Pensate soltanto che se collaborerete con me, sarà il primo e ultimo Natale che passerete qui. Vorrei potervi infondere maggior coraggio, maggior positività, ma non sono mai stato bravo con la gestione di emozioni delicate!".

"Non preoccupatevi, siete stato fin troppo comprensivo e disponibile con una persona dal caratteraccio come il mio. Lo ribadisco: mi avete convinta! Arrivata a questo punto, non ho davvero più nulla da perdere! E no, non ci saranno ripensamenti di sorta, ve lo assicuro!"- promise la giovane.

"Molto bene, dunque... affare fatto?"- domandò l'avvocato, porgendole la mano.

"Affare fatto!"- precisò Rebecca, stringendogliela e sorrido.

Quando fu ritornata in cella, incrociò lo sguardo interrogativo di Chiara Lonigro: "Com'è andata?"- le chiese a bruciapelo la bionda.

"Bene, direi! Alla fine, ho seguito i tuoi consigli"- rivelò la mora- "Ciliberti pare aver accettato le mie scuse e credo che ce la metterà tutta per aiutarmi. Ho dovuto però accettare una condizione parecchio pesante!"

"Cioè?"- Incalzò Chiara.

"Dovrò farmi passare per inferma di mente!"- sospirò Rebecca.

"E cosa importa? Il tuo obiettivo deve essere uscire di qui, se non altro per avere la possibilità di incontrare ancora il tuo amato!"- le ricordò la sua compagna di cella.

"Proprio per questo motivo ho accettato!" - specificò la Vicenti.

"Però non... non mi sembri tanto felice! Voglio dire... uno sguardo così pregno di tristezza di sicuro non mente"- osservò Chiara.

"E' solo che... tra poco sarà Natale... mi sono accorta solo durante il colloquio che siamo già al 20 dicembre. Sarà il primo Natale che passerò lontana dalla mia famiglia e dai miei amici!"- ammise Rebecca.

"Mia cara, in fondo è un giorno come un altro"- replicò la bionda con nonchalance - "Quella del 25 dicembre è una mera convenzione. Il vero Natale arriva ogni volta che riusciamo ad essere felici, che rinasciamo dentro. Con questo saranno cinque Natali che passo rinchiusa qui dentro, e ormai ci ho fatto l'abitudine, ma comprendo cosa possa provare chi vive per la prima volta questa esperienza. Credimi, già avere una famiglia che ti aspetta fuori è una fortuna. Dà ascolto a me, proiettati già al prossimo Natale, pensando a fare di tutto per trascorrerlo con i tuoi cari. Quest'anno andrà così, tocca rassegnarsi"

"Sì, immagino che tu abbia ragione. Questo Natale ha deciso di presentarsi con un abito inconsueto. Vorrà dire che ci inventeremo qualcosa per fare, in modo che passi senza troppa desolazione!"- affermò rassegnata la Vicenti. In fondo, qualora il cielo avesse deciso di inviarne, le sarebbe bastato il contatto con la neve soffice e bianca in cortile, durante quell'ora d'aria che evaporava troppo in fretta. E si sarebbe accontentata del cinguettante conforto di qualche passerotto, se nessun altro fosse venuto a farle visita.

L'amore avvelenatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora