Le altre vittime e l'assurda scoperta.

180 18 27
                                    

Rebecca sapeva che il tempo stringeva. Ben presto, infatti, avrebbe ultimato le cure del Valenti e avrebbe dovuto (almeno in teoria) lasciarsi alle spalle la fase contagiosa. Ciò significava che doveva sbrigarsi a collezionare altre vittime. E la giovane si diede un bel da fare. Nella sua tela finirono i conti Eliseo Verardi e Diego De Corsi, legati da un'amicizia fraterna, nonostante avessero poco in comune, tranne la passione per le donne. L'ultima vittima in ordine di tempo fu il giovane Damiano Petrera che non aveva nulla a che vedere con la nobiltà. Era figlio di umili braccianti, ed egli stesso lavorava come garzone. Aveva comunque ricevuto un'ottima istruzione: sapeva leggere e scrivere e si esprimeva con gran scioltezza, in un linguaggio non certo spicciolo, appreso da autodidatta. Per Damiano, quella cultura auto costruita rappresentava la certezza di un imminente riscatto sociale. Guardava con profonda ammirazione le fanciulle aristocratiche: eleganti, raffinate, profumate, con la pelle levigata e fresca... così diverse dalle contadinotte rozze, figlie della plebaglia. Che poteva saperne, povero ingenuo, che il sangue blu delle aristocratiche poteva talvolta essere più avvelenato di quello delle prostitute dei bordelli? Tiziano Palazzi non fu il solo a sentirsi chiamare con un nome diverso dal suo. Tutti non poterono fare a meno di chiedersi chi fosse l'uomo che aveva rapito a tal punto il cuore di quella ragazza focosa, selvaggia e ribelle da indurla a gridare il suo nome mentre giaceva con un altro. Nel frattempo, giunse il giorno prefissato per il rituale controllo medico. Valenti fu impossibilitato a recarsi a villa Vicenti, così chiese a Rebecca di raggiungerlo in ambulatorio nell'orario in cui ci sarebbe stata meno gente. Alle 16:00 di quel sabato pomeriggio, quindi, la ragazza si presentò in studio. Pochi istanti dopo che fu entrata, giunse in sala d'attesa la sua amica Irene, venuta a richiedere una ricetta medica per sua suocera Teresa. Per ingannare l'attesa, decise di prendere qualche rivista dal cesto di fianco alla porta. Fu in quel momento che le sue orecchie captarono qualcosa che la fece trasalire.

"E vi raccomando, Rebecca, nonostante siate davvero sulla buona strada, usate accortezza ancora per un po'. Con la sifilide non si scherza, come non mi stancherò mai di ripetere!"- diceva Valenti ad alta voce. Irene impallidì: "Non può essere. Si tratterà di una sua omonima!"- pensò tra sé.

Pochi istanti dopo, da quella porta uscì proprio Rebecca Vicenti in persona, così spaventata che lasciò cadere sul pavimento i fogli consegnati dal medico.

"Irene! C-cosa ci fai qui?"- balbettò con le gote in fiamme.

"Ero venuta per una ricetta medica, su incarico di mia suocera, ma... potrei piuttosto farti la stessa domanda! Rebecca, parliamo un attimo per favore: è tanto che non conversiamo di argomenti seri e importanti!"- le spiegò, invitandola a seguirla.

La Vicenti, però, non prestò orecchio alle sue parole: "Un'altra volta! Ora ho fretta!"- si limitò a esclamare. La sua unica preoccupazione fu quella di raccogliere le carte sparse sul pavimento, prima che gli occhi dell'amica potessero leggere ciò che v'era scritto. Non sapeva però che ormai era troppo tardi...

L'amore avvelenatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora