L'ira di Valenti.

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L'automobile si fermò nel vialetto di villa Vicenti. Il medico batté la portiera con tanta forza, che quasi per miracolo essa non si staccò. Le nocche ossute impiegarono una impetuosa energia nel bussare. Udì dei passi frettolosi, e l'esile figura della domestica apparve sull'uscio con l'espressione sorpresa.

"Dottore, cosa ci fate qui a quest'ora? Non dovevate passare martedì a visitare la signorina Rebecca?"- esclamò la ragazza.

"Nadia, se sono venuto fin qui è evidente che mi abbiano spinto ragioni urgenti. Fatemi entrare, per favore!"- ribatté ferreo Valenti. Raggiunse la sala dove la famiglia stava cenando assieme ai coniugi Boccadamo. Le risa cessarono all'istante, e l'inatteso ospite ebbe subito tutti gli occhi puntati addosso.

"Dottore! Cosa vi porta qui? Non avevamo concordato alcuna visita. Devo preoccuparmi?"- disse Rebecca con tono sarcastico e con un'eccessiva sicurezza di sé.

"Credo proprio di sì, Rebecca! Credo che dobbiate preoccuparvi, anche se non per la vostra salute!"- rispose Valenti.

"Cosa intendete dire?"- domandò lapidaria la Vicenti

L'uomo cercò di mantenere il maggior autocontrollo possibile: "Vorrei potervi parlare in privato!".

Rebecca le rivolse uno sguardo strafottente: "Dite pure! Non credo ci sia bisogno di parlare in privato!"- rispose senza accennare ad alzarsi da tavola, ma facendo invece segno al Valenti di accomodarsi.

"Vi ascolto, intanto sedete e favorite qualche boccone: l'arrosto è favoloso!"- continuò

"Vi ringrazio, ma sono di fretta. Fidatevi di me, Rebecca, sarebbe meglio che parlassimo in privato!"- ribadì il medico.

"E io, dottore, torno a ripetervi che non c'è nulla che non possiate dirmi in presenza di mia madre, di mia nonna e dei miei amici!"- esclamò irritata la giovane.

"E va bene, Rebecca: l'avete voluto voi! Che ascoltino anche i vostri familiari e amici. Vengo ora da palazzo Resta, dove ho visitato per l'ennesima volta il marchesino Giacomo, che, come avrete saputo, sta molto male. E sarà inutile fingere di cascar dalle nuvole, domandandomi cosa lo affligga, perché lo sapete fin troppo bene!"

Lo sguardo di Rebecca passò in rassegna le espressioni confuse, perplesse e curiose dei presenti. Il suo smarrimento non durò che pochi secondi: se c'era una cosa che la vita le aveva insegnato era proprio il mantenere un perfetto autocontrollo "E come farei a saperlo? Attraverso il dono della preveggenza?"- ridacchiò.

"Il marchesino Giacomo ha contratto la sifilide, lo stesso vostro morbo!" - fece serio Valenti

Rebecca lo sfidò con una indescrivibile pacatezza: "Mi spiace per lui, tanto che in questi giorni terrò fede al proposito di fargli visita. Ma se volete insinuare quel qualcosa che, non essendo stupida, ho ben inteso, sappiate che vi sbagliate di grosso. Io non c'entro nulla! Il marchesino Giacomo, e lo ribadisco, è solito accompagnarsi a un gran numero di donne, non escluse le prostitute. Non potete lanciare accuse tanto pesanti senza cognizione di causa!"

"Senza cognizione di causa? Vedete, Rebecca, devo rivelarvi un piccolo particolare aggiuntivo, che non è da poco! Ho pregato Giacomo di provare a ricordare i nomi di alcune delle fanciulle a cui si era unito, e tra questi nomi vi era anche il vostro!"- provò a spiazzarla il Valenti.

"E con ciò? Non credo abbia specificato anche l'ora e il giorno in cui fu consumato il nostro incontro! Ribadisco: avete l'assoluta certezza che sia stata io a contagiarlo? Non credo proprio. Quindi frenate le vostre accuse!"- ribatté ferrea la ragazza.

" Per avere la certezza a cui alludete, ho predisposto che tutte le giovani di cui il marchesino Giacomo ha fatto i nomi, si sottopongano al test reattivo. Qualora dovessi scoprire che nessun'altra aveva contratto la malattia, per voi le cose si metterebbero male!"- esclamò Valenti, affilando la spada della schiettezza. Ed aggiunse: "Quel povero ragazzo si sentiva in colpa nei vostri confronti, capite? Tra i tormenti fisici, si torturava anche l'anima, pensando di avervi arrecato un danno irreparabile, quando può darsi sia accaduto l'esatto contrario! Bene, ora devo salutarvi. Donna Letizia, donna Esterina, signori Boccadamo, mi è spiaciuto essere così franco, ma sono certo che comprendiate la gravità della situazione. Vi auguro una buona serata!". Il medico prese dunque la via del ritorno. Nessuno riuscì a rispondere al suo saluto: tutti erano scioccati.

"Oh, andiamo! Non gli crederete, vero? È assurdo!"- disse Rebecca con un sorriso a denti serrati.

Tutti continuavano a fissarla in silenzio: un silenzio eloquente e tagliente.

"Un momento... voi gli credete! Ma com'è possibile? La mia famiglia e i miei migliori amici che credono a quel medico da strapazzo e a un donnaiolo come Giacomo?!"- strillò Rebecca.

"Sarà meglio rientrare, Luigi,"- disse sottovoce un'imbarazzatissima Irene, rivolgendosi al marito. Il giovane prese le chiavi della vettura, mentre Rebecca tentò di avviare un dialogo con l'amica: "Lo sai anche tu che sono fandonie, avanti!"

"Rebecca io... credo che sia meglio parlarne in un altro contesto! Scusaci!"- la liquidò Irene, salutando con rispetto Esterina e Letizia.

"Mamma, nonna almeno voi..."- implorò Rebecca quando furono sole.

"Mamma e nonna un corno! Le parole di Valenti non hanno rappresentato altro che delle conferme a ciò che sospettavo da tempo, e credo anche tua madre. Prega che tali sospetti non trovino effettiva conferma, Rebecca!"- disse Letizia con lo sguardo di una durezza che non le era mai appartenuta.

"Lascia che io scopra che oltre a Giacomo altri giovani si siano infettati di sifilide a causa tua, e ti sbatto fuori di casa. Sono stata chiara? Buonanotte, Rebecca meglio che io e la nonna ci ritiriamo ora!"- esclamò una furente Esterina. Le due donne salirono al piano di sopra, nelle rispettive stanze da letto, lasciando Rebecca in silenziosa e discreta compagnia di Nadia, che mai avrebbe osato porre domande. Una volta che la cucina fu linda e ordinata, e che anche la domestica si fu ritirata, Rebecca fissò nella credenza la bottiglia di liquore alle noci ben invecchiato. Non aveva mai bevuto, se non in rarissime occasioni, come matrimoni e feste d'élite, e sempre e solo in compagnia. Quella bottiglia però, le parve l'unica ancora di salvezza a cui aggrapparsi in quel momento. Il primo sorso le mandò in fiamme le gote, la gola, l'esofago e lo stomaco, ma, nonostante ciò, continuò imperterrita. I sorsi successivi, andarono giù come fossero acqua. Rebecca stramazzò sul divano, e la bottiglia vuota cadde di fianco ad esso. L'alcool compì un piccolo miracolo: la riportò nell'unico posto dove avrebbe voluto essere: avvolta nell'abbraccio di Beppe Guglielmi.

L'amore avvelenatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora