Come un'ombra di notte.

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Accadde in una notte d'inizio autunno, col vento ottobrino che faceva danzare le foglie morte.  Esterina era partita in treno alla volta del Tarantino, per far visita alla cugina Marinella, da qualche mese guarita da una brutta polmonite. Nonna Letizia dormiva profondamente nella sua stanza, e Nadia aveva lasciato la casa linda e ordinata, alla vigilia della sua giornata libera.

Come un'ombra, nel suo soprabito nero, Giulio Svaldi era filtrato  oltre i cancelli e nella stanza della giovane. Commise, la povera Rebecca, un madornale errore, prima che facessero per l'ennesima volta l'amore. Gli parlò della scatola che teneva nell'armadio, in un cassetto nascosto. Dentro c'era la sua dote: ben 500.000 lire. Glielo rivelò perché di lui si fidava ormai ciecamente, perché tanto, se la loro storia fosse andata avanti, quei soldi sarebbero stati anche i suoi. Il sorriso si allargò a dismisura sulle labbra del giovane, che la ringraziò e iniziò  velocemente  a liberarla dai vestiti, tempestandola di baci ovunque. Anche le mani di Rebecca si ritrovarono smaniose della pelle di lui, e quei vestiti rappresentavano un ostacolo. Lo spogliò in maniera ancor più lesta di quanto Giulio aveva fatto con lei. Fu però assai strana, quella notte: troppo strana. Rebecca non riuscì a sentirlo suo: le stava avvinghiato, era  dentro di lei, ma pareva distante anni luce. Sembrava che a Giulio non importasse minimamente che fosse bello anche per lei: quasi non si accorse che Rebecca stava per pronunciare la parola "basta", che stava quasi per allontanarlo. Era come se pensasse solo a sé stesso, con quella fretta che non era smania d'amore, ma desiderio che tutto fosse al più presto finito. Quando Giulio si fu staccato da lei, gli occhioni di Rebecca lo fissarono straniti, interrogandolo su cosa non avesse funzionato. Il giovane non le permise però di aprir bocca: l'attirò sul suo petto, le baciò una tempia, le accarezzò i capelli e iniziò a cullarla come un genitore fa con la propria creatura, nel momento in cui auspica che il sonno prenda il sopravvento. Quel piccolo gesto di tenerezza, bastò ad allontanare i dubbi che arrovellavano i pensieri dell'ingenua Rebecca. In fondo, poteva essere stato un episodio sporadico, magari aveva solo così tanta voglia di lei, da doverla appagare senza tanti preamboli, ma non significava certo che non la amasse, anzi! Così pensando, Rebecca si addormentò tra le sue braccia, sfinita ma un po' più tranquilla. Giulio attese pazientemente che il sonno si facesse profondo, poi, con delicatezza estrema, scostò il corpo esile della ragazza dal suo. Si rivestì e si mise a frugare nell'armadio, sempre accorto a non produrre il minimo rumore.

"Dove accidenti sarà quella dannata scatola? Dove?"- ripeteva tra sé, fino a che  , facendosi luce con un fiammifero, riuscì a scovare il cassetto interno. L'aprì: ecco il suo bottino, ecco le 500.000 lire! Afferrò il denaro, e se qualcuno avesse potuto osservare la scena, avrebbe giurato di aver visto spuntargli sulle mani gli artigli che possiedono i rapaci. Divise i soldi tra le due profonde tasche della giacca e si dileguò in fretta. Come un'ombra era apparso nella vita di Rebecca, e come un'ombra nera, la più spaventosa, adesso ne usciva. Ne usciva  lasciando lì, nel buio, i cadaveri delle accoltellate speranze che Rebecca aveva nutrito in lui.

E intanto, la fanciulla dormiva beata, ignara del fatto che il cuore le fosse stato strappato dal petto per la seconda volta. Dopo la  prima, era riuscita a rimetterlo al suo posto, a far ricrescere quei tessuti... e adesso? Ci sarebbe riuscita ancora? O la cancrena dell'altrui cattiveria il cuore gliel'avrebbe definitivamente divorato? Ma lei continuava a dormire beata, credendo che il cuore fosse ancora al suo posto, forse percependone ancora il battito. Filtrarono i primi raggi di sole attraverso le persiane, e la mano della giovane si mosse sul cuscino alla ricerca del volto della persona a cui aveva concesso il suo amore e la sua totale fiducia. Ma nient'altro che una federa bianca e fredda: ancora impregnata del suo profumo, certo, ma senza il suo volto.

"Giulio?! Giulio!"- ripetè Rebecca in ogni stanza della casa, ma nessuna risposa. Continuò con voce sempre più alta, ma la frenò il timore di svegliare nonna Letizia, malgrado ella fosse solita riposare fino alla tarda mattinata.

Di Giulio nessuna traccia. Doveva essere sicuramente un incubo: non doveva fare altro che svegliarsi e l'avrebbe trovato lì accanto a lei. Qualcosa a cui non aveva precedentemente badato, fu però il segnale che non si trattava di alcun brutto sogno.  La ragazza s'avvide infatti dell'armadio a soqquadro, degli abiti rovesciati sul pavimento, del fiammifero spento accanto alla scatola di latta ormai vuota.

Avrebbe avuto voglia di urlare, ma con grande forza, che potrebbe anzi definirsi vero stoicismo, riuscì a soffocarla. Cadde solo in ginocchio sul pavimento, con gli occhi pieni di lacrime: "No, no, no! Non di nuovo, non anche lui! Furono strappate per il nervoso, per la paura e per il senso di colpa alcune ciocche di neri capelli, e la guancia cerea fu colpita da una sberla che Rebecca  si auto inferse.  Era stata più ingenua e stupida lei o più bravo Giulio a tessere la sua tela? La ragazza non riuscì a darsi risposta. Riuscì esclusivamente a darsi della stupida e della inetta innumerevoli volte. Ripeteva laconicamente quelle due parole: "Supida, inetta; inetta, stupida; stupida, inetta..."

Era crollato ogni singolo mattoncino con cui, a fatica, stava provando a ricostruire il suo avvenire ed era successo a causa della sua ingenuità. Lei non avrebbe più avuto nessuno da amare e che la amasse (anche se evidentemente mai Giulio l'aveva amata); suo figlio non avrebbe avuto nessuno che rappresentasse per lei una figura paterna. Soprattutto però, si sarebbe giocata definitivamente la fiducia delle uniche persone che le restavano: sua madre e sua nonna.

E Donna Esterina con lei era stata anche fin troppo accondiscendente. Che fare adesso? Andare dalla polizia e denunciare il furto, scandendo a chiare lettere il nome di Giulio Svaldi?

E a cosa sarebbe servito? Della sua furbizia, Giulio aveva dato prova fin troppo evidente e certamente, adesso era ben lontano. Poco ma sicuro che  gli agenti non si sarebbero scomodati oltre il minimo sindacabile, trattandosi di un furto. Non si scomodavano per la gente che moriva ammazzata, figurarsi! 

"Che faccio? Che faccio? Dannazione, che faccio?"- continuava a ripetersi. A sua madre non poteva nasconderlo, perché l'avrebbe scoperto da sé, e sarebbe stato peggio.  Dove la trovava però la forza di dirglielo? Come avrebbe reagito Esterina? L'avrebbe cacciata di casa? No, almeno questo sembrava  fuori discussione, per il semplice motivo che aveva in grembo suo nipote. E se invece avesse vagliato ugualmente quell'opzione, vinta dall'esasperazione? 

Mentre questi pensieri la tartassavano, due fitte insopportabili: al petto e al ventre, la sudorazione fredda e i sensi che vennero meno.

L'amore avvelenatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora