Guai alle porte.

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"Rebecca, tanto per cominciare tu non ti muovi da casa fino a quando non avrò deciso altrimenti! E dimenticavo: darò a Nadia una settimana libera, e sarai tu ad occuparti assieme a me delle faccende di casa. È ora di cominciare a capire davvero come va la vita!"- aveva rimbeccato Esterina.

"Amica mia, dimmi che nulla di quanto asserito da Valenti corrisponde a verità e io ti crederò!"- le disse invece Irene per telefono, non riuscendo a credere che la sua migliore amica avesse voluto rovinare la vita di qualcun altro.

"Ma ovvio che no! E i test lo confermeranno!"- le rispose Rebecca, cercando di fare in modo che nulla nel tono di voce la tradisse. In cuor suo però, sperava che ciò fosse vero, che oltre a lei, anche qualcuna delle altre ragazze che s'erano donate a Giacomo risultasse sifilitica. Iniziavano ad affiorare i primi rimorsi. Doveva andare a trovarlo, sincerarsi di quanto grave fosse la situazione, spendere qualche parola per consolarlo. Ma con che faccia avrebbe potuto presentarsi a palazzo Resta? Che effetto le avrebbe fatto lo sguardo sofferente di un giovane che in quel letto si preoccupava della salute di lei? Subito le sovvenne quanto la mente aveva voluto rimuovere: Esterina l'aveva messa in punizione e non sapeva ancora per quanto. Forse, però, per consentirle di far visita a Giacomo, avrebbe fatto una piccola eccezione, certo, se si fosse dimostrata abbastanza convincente.

"Non ho fatto che pensare per tutta la notte a quel povero ragazzo! Mamma, da tempo mi ero riproposta di fargli visita, e comprenderai bene che non si tratta di occasione mondana, ma di portare un'oretta di conforto a un ammalato!"- disse in tono supplichevole.

"E va bene, dopo tutto è un'opera buona, se così si può definirla!" - annuì Esterina, che subito aggiunse: "Però a patto che ci andiamo insieme!".

E così, il pomeriggio seguente, mamma e figlia si recarono a palazzo Resta. Vi trovarono una Clidia nervosa e agitatissima, che non si mosse dal capezzale del figlio neppure per riceverle all'ingresso, compito che fu delegato a Palma, la domestica.

"La signora mi ha dato ordine di invitarvi a salire di sopra appena foste arrivate. Non scende più neppure per mangiare, si fa portare tutto in camera!"- spiegò la donna.

L'espressione atterrita di Rebecca precedette la sua domanda, posta con un fil di voce: "Il marchesino Giacomo sta così male?"

"Purtroppo, sì, signorina! - replicò Palma con uno sguardo addolorato. Lo aveva visto nascere e crescere, e il suo lavoro implicava quasi sempre l'affezionarsi. La domestica accompagnò quindi Esterina e Rebecca di sopra. Bussò e "Signora Marchesa, ci sono Donna Esterina e la signorina Rebecca. Posso entrare? "- chiese.

"Sì, Palma: entrate pure!"-rispose la Marchesa Clidia. Mamma e figlia varcarono l'uscio della stanza, e gli occhi di Rebecca tardarono a mettere a fuoco il volto della persona che giaceva in quel letto. Gli occhi di Esterina invece, in pochi secondi avevano già colto la gravità della situazione, tanto che la donna dovette mordersi il labbro per non lasciarsi sfuggire niente di sconveniente, niente che potesse accrescere il tormento di quella madre già provata.

"Esterina, Rebecca! Non sapete quanto piacere mi faccia la vostra visita!"- Giacomo proferì quelle parole con un evidente e immane sforzo. Prese poi una pausa di qualche secondo e continuò: "Perdonatemi se vi ricevo a letto, ma se fino a pochi giorni fa riuscivo a trascinarmi fino alla poltrona e a restarvi seduto per gran parte della giornata, ora queste dannate gambe non vogliono saperne di muoversi!"

Rebecca, questa volta, non poté fare a meno di guardarlo: aveva perso chissà quanti chili, lui che era sempre stato longilineo.

Anche Esterina portò una mano alla bocca, fingendo un colpettino di tosse per non mostrare al giovane quanto quella vista l'avesse inorridita.

"Giacomo, non avvilirti, le cose miglioreranno, basta che tu segua le indicazioni dei medici"- Rebecca, al culmine dell'imbarazzo, non poté fare a meno di ricorrere alla retorica. Il giovane si limitò a sorridere tristemente, ben consapevole di quale destino lo attendesse.

"Mamma, Donna Esterina, perdonatemi ma vorrei chiedervi la cortesia di lasciarmi per qualche istante solo con Rebecca, se non vi dispiace!"- chiese Giacomo in tono supplichevole.

Esterina alzò il sopracciglio destro in segno di disappunto. Più accondiscendente fu invece Clidia, che la invitò a seguirla fuori dalla stanza. I due ragazzi rimasero quindi da soli.

"Rebecca, immagino che ti starai chiedendo se quello che si dice in paese corrisponda al vero. Ebbene sì, si tratta proprio di quella temutissima malattia!"- esordì Giacomo- " Prima di urlarmi addosso tutta la tua rabbia e il tuo disprezzo, lasciami ribadire una cosa: non ho la certezza matematica di aver già contratto la malattia la notte in cui stemmo assieme, ma purtroppo è una possibilità che non va esclusa. Ero preoccupato per la tua salute, un pensiero fisso che mi tormentava. Per questo mi sono fatto convincere dal dottor Valenti a fargli i nomi di alcune delle donne con cui ho diviso il letto. E non odiarmi, ma ho dovuto fare anche il tuo. Sappi però che l'ho fatto per la tua salute, in modo da poterti mettere subito in guardia da una malattia che, se curata sin dalle prima avvisaglie, forse si può combattere abbastanza. Dimmi: hai avuto qualche sintomo sospetto?"- chiese infine il giovane, manifestando la più viva preoccupazione.

"No Giacomo, niente di niente! E comunque, lo hai affermato tu stesso che non è detto che tu fossi già infetto quella notte. Se può servire a farti stare meglio, farò tutti i controlli del caso, ma tu smetti di colpevolizzarti ok?"- si limitò a dire Rebecca che arrivò a sorprendersi della sua stessa pacatezza e naturalezza.

"Ti invidio sai? E non poco. Come fai a mantenere una tale serenità di fronte al rischio di una malattia tanto letale?"- le domandò Giacomo.

"Se mi disperassi non risolverei nulla. Sprecherei solo una parte di vita!".

In quel momento gli occhi le divennero lucidi e mai fatica le risultò più immane del trattenere le lacrime.

"Mi prometti che tornerai a farmi visita?"- chiese il giovane con un respiro che il troppo parlare aveva reso ancor più affannoso.

"Giacomo... io... non so se a dire il vero..."- tentò di dire lei

"Non sai se te la sentirai?"- le lesse nel pensiero lui.

Rebecca fece cenno di sì col capo, senza dire una parola.

"Dev'essere una tua libera scelta, certo. Se non te la sentissi, io non ti biasimerei. Sappi però che sei riuscita a farmi stare meglio, almeno moralmente!"- mormorò il giovane.

I due si sorrisero a vicenda, e Rebecca s'affrettò a lasciare la stanza. Salutò la Marchesa Clidia, e sottobraccio a sua madre si diresse verso la vettura che le attendeva di fuori. Giunta a casa, la ragazza si chiuse in camera sua, dove poté lasciarsi andare a un pianto dirotto e convulso. Primi sensi di colpa? La vecchia Rebecca che emergeva attaccando al muro e prendendo a schiaffi la mantide che aveva preso il suo posto? Probabile, molto probabile! A sua madre, che le chiese il motivo di quelle lacrime, rispose solo che l'aveva rattristata vedere Giacomo versare in quelle condizioni. Esterina avrebbe voluto abbracciarla, consolarla, ma quello di cui ora c'era bisogno era il rigore. Lo stesso che non era mai riuscita prima ad imporre.

L'amore avvelenatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora