Quel pomeriggio, la luculliana merenda che faceva sempre seguito alla preghiera, si prolungò decisamente troppo. Ginevra pareva camminar sulle spine: si muoveva rumorosamente da una parte all'altra del salone. Quella sua insofferenza, che faceva risuonare il lucido parquet, fu notata da quasi tutte le signore presenti. La Marchesa si avvicinò a quell'imperfetto cerchio di sedie. Udiva farsi sempre più vicino e fastidioso il mormorio. Con le nobildonne, imbastì la scusa che mariti non avrebbero gradito quell'attardarsi, e ribadì la necessità di doversi occupare del figliolo, secondo quella che ormai era diventata una triste ritualità. Le ospiti di Villa Guglielmi erano appena andate via, come uno stormo di lugubri cornacchie, quando bussarono tre volte alla porta. La domestica aprì, e Rebecca Vicenti fece il suo ingresso, di fianco all'avvocato Ciliberti. "Marchesa!"- salutò quest'ultimo, mentre la giovane restò imbarazzata e muta, limitandosi a un cenno reverenziale col capo. Un silenzio raggelante calò nel grande salone.
"Buona sera, avvocato! La nostra domestica Sisina, e il nostro autista, Titta, vi aiuteranno con i bagagli della signorina!"- ruppe il ghiaccio la Marchesa, rivolgendosi al Ciliberti e ignorando il più possibile la ragazza.
"Tenete, Donna Ginevra, questo è il numero del mio studio legale. Se dovesse esserci qualunque tipo di problema, non esitate a chiamarmi"- fece presente l'uomo, porgendo alla Marchesa il foglietto che aveva tirato fuori di tasca.
"Non avete nulla da temere, avvocato. Posso assicurarvi che la ragazza sarà ben sorvegliata! Buona serata a voi"- rispose Ginevra, salutandolo con espressione seria.
Rimasta sola con la Marchesa, Rebecca non seppe come vincere quell'imbarazzo che si tagliava a fette. Sorrise alla matriarca di casa Guglielmi: "Donna Ginevra io... non vi ringrazierò mai abbastanza per aver..."- esordì.
La donna la frenò: "Non c'è nulla da ringraziare, ragazzina! Non ti sto facendo un favore, e credo che questo ti sia stato spiegato. Perciò, non azzardarti a interpretare questa mia decisione come un gesto di benevolenza nei tuoi confronti, e meno che mai di perdono! Nelle notti in cui non dovrai vegliare Beppe, qualcuna delle domestiche dividerà con te la propria stanza. Non ti sarà concesso sedere a tavola con noi e dovrai accontentarti degli avanzi. Meno che mai dovrai azzardarti a intervenire nelle nostre questioni familiari. Ricorda il vecchio motto "per amore del padrone, si dia il pane al cane!". Ecco, Beppe è il padrone e tu il cane!"
"Tutto molto chiaro, signora Marchesa!"- esclamò Rebecca, con lo sguardo intristito. Sapeva benissimo che non avrebbe potuto aspettarsi un'accoglienza calorosa (e tanto meno dell'affetto) da parte di Ginevra e dell'intera famiglia Guglielmi, ma la crudezza delle parole della Marchesa, le aveva comunque fatto un certo effetto.
"Posso andare da lui? Mi... mi mostrereste la sua stanza?"- osò domandare Rebecca, balbettando.
"Non così in fretta! Lo vedrai non appena in dottor Valenti l'avrà visitato. Dovrebbe essere qui a minuti"- sentenziò la Marchesa. Proprio in quel momento, dei vispi e veloci passettini percorsero le scale che portavano al piano superiore, inducendo la Vicenti a voltarsi di scatto.
"Gabriella! Riuscirò mai ad insegnarti che devi comportarti da signorina educata e non da maschiaccio? Te l'ho ripetuto un miliardo di volte che correre in quel modo non ti si addice affatto!"- Ginevra ammonì la ragazzina, con la sua divisa da collegiale dal colletto inamidato e la gonna plisettata color blu notte. Tra i capelli castani, spiccava un fiocco di raso bianco, che tuttavia non conteneva l'aspetto disordinato di quella chioma ribelle. Gabriella era solita passarci di continuo le dita e attorcigliarci alcune ciocche. Si creavano così una specie di boccoli, dalla forma non proprio perfetta.
"Scusami, mamma!"- chiese venia in tono sottomesso. I suoi occhioni color nocciola scrutarono poi la nuova arrivata.
"Voi dovete essere quella che il fratellone chiama in continuazione, vero? Siete venuta per guarirlo?"- le chiese, suscitando il vivo imbarazzo della giovane.
"Sì, sono io, e.... sono qui per restargli accanto ma... ecco, non sono un medico, quindi non potrò fare molto per guarirlo, al contrario del dottore che si sta prendendo cura di lui"- le rispose la Vicenti, cercando di ostentar disinvoltura.
Le accarezzò poi i capelli, sistemandone alcune ciocche: "Tu devi essere la sua sorellina, dico bene?"
"Sì, mi chiamo Gabriella, e so che il vostro nome è Rebecca, perché Beppe lo ripete sempre"- annuì la ragazzina, che subito la colse di sorpresa.
"Voi lo sapete che cos'è la... accidenti, com'è che aveva detto il dottore? Ah, sì la fisilide!"- le chiese sbagliando il nome complicato di quella malattia, per lei ignota.
"Gabriella!! Che razza di domande fai? Non sono questioni in cui immischiarsi! E poi come fai a conoscere questa definizione?"- la rimbeccò ancora la madre.
"Ma l'ho sentito dire al dottore. Scusa se mi sono permessa di origliare, ma volevo sapere cosa avesse il fratellone!"- si giustificò Gabriella, che tornò a rivolgersi a Rebecca.
"Allora? Voi sapreste spiegarmi che cos'è questa malattia che lo fa stare così male?"- tornò a chiederle.
La ragazza, spiazzata, preferì avvalersi di una sincerità a metà: "Beh... ecco... non credo si chiami esattamente "fisilide", ma è una brutta infezione del sangue, che può intaccare tutti gli altri organi, però... si può guarire, rimettendosi nelle mani di bravi medici, e il dottor Valenti è davvero in gamba!"
Quelle parole dissolsero l'apprensione dal volto della ragazzina, i cui occhi tornarono a illuminarsi: "Siete simpatica, sapete, Rebecca?"- disse, tentando di avvicinarsi alla giovane per soddisfare l'istinto di abbracciarla.
Ginevra la frenò trattenendola per un braccio: "Hai dimenticato di preparare i bagagli per il ritorno in collegio? Fatti aiutare da Sisina: per domani dev'essere tutto pronto!"- le rammentò.
"Ma mamma, non voglio tornarci in collegio! Voglio restare qui a casa con Beppe, finché non sarà guarito"- protestò Gabriella.
"Tu devi pensare a studiare! Per il momento, il tuo compito è questo. A occuparci di Beppe ci saremo io, il papà, il dottor Valenti, i domestici e ora anche la signorina Rebecca"- disse rivolgendo un falso sorriso alla Vicenti -"Quindi puoi star più che tranquilla! E quando tornerai, se il buon Dio vorrà, tuo fratello sarà guarito, e potrete trascorrere assieme tutto il tempo che vorrete!"
Gabriella sbuffò risentita, assumendo l'espressione affranta tipica di chi si sente impotente. Sapeva che non sarebbe servito a nulla cercare di far valere le proprie ragioni. Qualcuno aveva deciso ancora una volta per lei.
"E va bene!"- sospirò la secondogenita di casa Guglielmi, regalando ancora un sorriso a quella ragazza appena conosciuta: "Rebecca: prendetevi tanta cura del mio fratellone, ve ne raccomando!"
Gabriellina si soffermò a fissare gli occhi della Vicenti: "Ma... perché piangete?"- le domandò stupita.
"Non è nulla, cara, mi sono solo rattristata nell'apprendere che il tuo fratellone stia così male, ma non dovrai preoccuparti: come ti ha detto la mamma, ci prenderemo tutti quanti cura di lui!"- la tranquillizzò. La ragazzina, rasserenata, ebbe l'impulso di trotterellare via, com'era sua abitudine, ma nella sua mente, risuonarono le parole della madre, quindi assunse un'andatura dritta e compunta. A tu per tu con la Marchesa, e con il suo sguardo infuocato e schifato, Rebecca sentì crescere ancora quel senso di imbarazzo e disagio. Avrebbe voluto chiederle quali fossero le reali condizioni di Beppe, ma preferì tacere, in modo da non dover essere ancora umiliata. Qualcuno bussò intanto alla porta: andò ad aprire la Marchesa in persona, per non distogliere le domestiche dalle importanti faccende a cui si stavano dedicando.
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L'amore avvelenato
Ficção GeralPuglia, anni '20 del '900. Rebecca Vicenti è innamorata persa di Andrea Colaleo. Tutto è pronto: abito bianco ricamato, lista degli invitati e lauto banchetto. Custodita nel cassetto di un armadio, c'è la cospicua dote che la ragazza, figlia di una...