Madre contro madre.

148 13 36
                                    

"L'udienza riprende con la testimonianza di Donna Esterina Maggi-Vicenti. Signora, ve la sentite di testimoniare?"- chiese il giudice.

"Sì, vostro onore! È mio dovere verso la legge e verso mia figlia!"- fu la secca risposta della donna.

"Molto bene. Vi chiederò, anzitutto, se quando scopriste la malattia di vostra figlia, non vi venne spontaneo consigliarle di evitare ogni relazione fisica, sincerandovi con attenzione che lo facesse?" - proseguì il magistrato.

"Ma certo, vostro onore, è ovvio. Si tratta di ciò che avrebbe fatto ogni buona madre. E vi posso assicurare che sono stata davvero molto, molto guardinga. I figli però, quando decidono di fartela sotto al naso, riescono a eludere ogni controllo, a trovare le scuse più credibili"- rispose la donna.

"E dato che vi siete rivelata una madre tanto scrupolosa, donna Esterina, possibile che non abbiate notato un qualche comportamento insolito, che denotasse perdita completa o parziale della lucidità mentale? Se quanto ha asserito poco fa l'avvocato Ciliberti, ovvero che vostra figlia ha sofferto e soffre di disturbi psichici, rispondesse a verità, dovreste esservene in qualche modo accorta"- incalzò il giudice.

"Certo che ho notato comportamenti fuori dalla norma e c'erano giorni in cui stentavo a riconoscere mia figlia. Faceva discorsi sconclusionati, e quando le chiedevo qualcosa a riguardo, si limitava a dire che sarebbe stato inutile spendersi in spiegazioni. Aveva tagliato i ponti con le sue più strette amicizie, e spesso io le parlavo, ma lei si estraniava. Fissava il vuoto e sembrava stesse ascoltando qualcuno di invisibile, qualcuno che certamente non ero io. Pensai che le sarebbe occorso solo del tempo, per riprendersi da tutto ciò che aveva dovuto subire. In casa la vedevo insofferente come una pantera in gabbia, e quando mia figlia mi chiedeva di uscire per fare due passi, cosa avrei dovuto fare? Negarglielo? Avrei mai potuto immaginare come impiegava in realtà quel tempo? Signor giudice, io chiedo personalmente scusa a tutte le famiglie che mia figlia ha distrutto, ma vi giuro che la mia Rebecca, non avrebbe mai agito intenzionalmente in questo modo".

Lo sguardo di Lamanna si fece cupo e pensieroso, ma dopo alcuni istanti di silenzio, il giudice proruppe: "Si faccia in modo che la ragazza sia visitata da un medico competente in materia di salute psichica, e si acquisisca agli atti la relativa diagnosi entro la data del giorno 21 del mese corrente!"- sentenziò - "Dichiaro conclusa la presente udienza, la prossima si terrà in quest'aula il giorno 31 del mese corrente!". Lamanna stava per percuotere ancora il supporto in legno con il martelletto dello stesso materiale, quando s'udirono dei rumorosi passi femminili, farsi sempre più vicini.

"Signor giudice, aspettate! "- urlò in modo affannoso Ginevra Cassano-Guglielmi- "Lo so, giungo in ritardo, ma voglio e devo dire la mia!". Fece il suo ingresso da sola: suo marito Attilio aveva preferito restare al capezzale del figlio ammalato. C'erano rabbia, orgoglio, veleno, determinazione, coraggio, disgusto e sofferenza in quegli occhi, scuri come quelli del primogenito.

"Donna Ginevra, dite pure, se può rivelarsi utile ai fini del processo!"- la invitò il giudice.

"Vostro onore, io vi invito a non farvi abbindolare dalle menzogne dell'avvocato Ciliberti. Né tanto meno a lasciarvi impietosire dalle parole di questa madre degenere. È anche lei una vittima. Non l'ammetterà mai a sé stessa, ma è stata una pedina nelle mani di quella strega della figlia! Il nostro dolore lo avverte come fosse il suo? Balle, vostro onore!"- Ginevra puntò lo sguardo su Esterina: "State per caso vedendo i vostri domestici lavare ogni giorno il corpo di vostra figlia, coperto da piaghe che emanano pus e altra materia organica? La state sentendo urlare dal dolore per tutta la notte, implorando altra morfina? La state osservando perdere i capelli e i denti a causa delle cure usate per combattere il male, e che si rivelano peggiori dello stesso? Mi pare evidente di no. Quindi, non azzardatevi a dire che capite il nostro dolore, Esterina. E vostro onore, credo di non dovervi certo rammentare io che la tara mentale è la scusa più utilizzata nei tribunali, affinché i peggiori delinquenti scampino alle loro giuste pene. Se non condannerete questa donnaccia, ucciderete due volte il mio e tutti quegli altri poveri figlioli. Mio marito e io abbiamo insegnato al nostro Beppe a non andare a meretrici per sfogare i propri istinti, ma ad aspettare una donna con cui condividere anche l'anima. E Rebecca Vicenti ha recitato alla perfezione la sua parte. Così bene, che se solo qualche grosso produttore di moviole fosse venuto a conoscenza delle sue capacità recitative, avrebbe rimediato un ottimo contratto. E il nostro Beppe si è fidato di quell'amore di carta pesta".

"Quell'amore è sempre stato vero, sempre!"- urlò Rebecca, mandando a farsi benedire il contegno che doveva utilizzarsi in tali occasioni.

"Taci, vipera!"- rimbeccò Ginevra, che continuò rivolgendosi poi al giurato.

"La sentite, signor giudice? E la cosa che mi fa più male è che quel mio povero figliolo, tra un gemito, un grido e una lacrima, continua a invocare quel sordido nome. La vorrebbe al suo capezzale. Capite? Sta morendo e non fa che invocare la sua assassina!"- proseguì piangendo Ginevra. Cercò poi di ricomporsi, e concluse la sua arringa: "Non spetta a me dirvi come svolgere il vostro lavoro, signor giudice, ma io non cascherei nella rete della malattia mentale. Non aggiungerò altro!"

Lamanna la fissò intensamente: "Non spetta né a me né a voi, donna Ginevra, decretare la sanità mentale della ragazza. Come ho asserito pocanzi, sarà un medico esperto a redigere tale diagnosi, che io acquisirò poi agli atti. L'udienza è tolta!".

"Penserò a tutto io, vedrete, signorina. Troverò un bravo medico che sappia essere dalla nostra parte! State tranquilla, andrà tutto per il meglio"- ebbe il tempo di sussurrarle l'avvocato Ciliberti. I due uomini in divisa la scortarono verso la vettura che l'avrebbe a sua volta ricondotta in cella. Chiara Lonigro l'attendeva impaziente: "Allora? Com'è andata? Buone nuove?"- le chiese con viva curiosità.

"Mi ama! Mi ama, Chiara. Capisci che lui mi ama ancora?"- rispose estasiata, piroettando su sé stessa.

"Che?"- gracchiò la bionda visibilmente confusa.

"Beppe mi ama! Nonostante tutto, mi ama ancora. Lo ha confermato sua madre in aula. Pare che pur tra i tormenti della malattia, non faccia che invocare il mio nome. E non lo fa con odio, non maledicendomi, ma perché mi vorrebbe al suo fianco!"- puntualizzò Rebecca.

"Secondo me al ragazzo si è forato il cervello! Dicono che questa malattia lo disciolga togliendo i lumi!"- si lasciò sfuggire Chiara stringendosi nelle spalle.

"Sciocchezze! Ora so che mi ama, e non mi serve altro per essere felice! -

"Mi sa proprio che non sia l'unico ad essere ammattito!"- sospirò Chiara- "Comunque sono felice per te. Ma non mi hai detto come si sono messe le cose al processo. Credi ci siano buone possibilità?"

"Ah boh, credo di aver capito che mi visiterà un medico, uno di quei dottori che studiano la mente. Si vedrà! Però stasera non voglio parlarne! Voglio godermi questo momento, e non pensare ad altro se non al fatto che Beppe mi ama ancora!"- replicò la Vicenti!"

"Matta! Sei davvero tutta matta!"- ribadì ancora Chiara, buttandola sul riso.

Rebecca, neppure le diede peso: si adagiò sulla sua branda fissando il soffitto con aria sognante, come se al posto di quel grigio intaccato dalle macchie d'umidità vi fosse il volto dolcissimo dell'amato.

L'amore avvelenatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora