Giacomo

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Le ire di Esterina avvolsero villa Vicenti per giorni, come fossero venti di tempesta che nulla potesse frenare. Ci provò, come al suo solito Letizia, che tuttavia, poco riuscì a fare.

"Ecco: ci mancava anche il morbo mercenario, tipico delle prostitute! Cielo, che vergogna! Ma com'è possibile che tutti i miei insegnamenti siano caduti nel vuoto?"- aveva ripetuto Esterina.

"Certo, certo che la colpa è mia, della ragazza frivola che ha elargito a tutti i suoi favori! Non degli uomini infimi e disonesti, sempre a caccia di sottane sotto cui infilarsi! Lo sai, mamma, quante mogli e madri, tutte dalla condotta irreprensibile, sono state contagiate della stessa malattia? L'hanno contratta da uomini di cui erano innamorate, e che di ritorno dai bordelli, non hanno esitato a posare le loro sordide mani anche sui corpi delle mogli. Degli altri? In verità non mi importa, perché gli altri non hanno passato ciò che ho passato io. Qualcuno disse che "Chi è senza peccato scagli la prima pietra", e dovrebbero ricordarselo coloro che vanno a battersi il petto in Chiesa!"- Rebecca, vomitò di getto quelle parole, giunta al culmine, dopo giorni passati a fingere indifferenza. "E poi, io questa situazione la vedo più come un regalo, come un'opportunità che intendo sfruttare a mio vantaggio!"- aggiunse, sorridendo quasi sarcasticamente.

"In che senso utilizzarla a tuo vantaggio? Ah no, Rebecca! Non credere che in virtù di questa diagnosi ti si vizierà, concedendoti tutto ciò che chiederai! Puoi ben scordartelo!"- puntualizzò Esterina senza mezzi termini.

"Non intendevo affatto questo, mamma!"- ribatté la ragazza

"Spiegati meglio, dunque!"- la invitò sua madre.

"Lo capirai a tempo debito!"- rispose Rebecca, andando a rintanarsi in camera sua.

Nell'oscurità, pensava già al volto che avrebbe potuto avere la sua prima vittima. Le venne in mente lui, il marchesino Giacomo Resta, unico figlio del Marchese Ludovico e della Marchesa Clidia Solano. Rebecca aveva condiviso con lui gran parte dell'infanzia, quando erano vicini di casa. Dopo anni, lo aveva rincontrato a una festa. Lei ed altri amici avevano dovuto trascinarlo via in senso letterale, dal momento che era pregno d'alcool fino al midollo. La ragazza passò in rassegna le voci che circolavano in paese sul conto del marchesino Giacomo. Si diceva fosse un giovane molto colto, appassionato di filosofia e di poesia, e che egli stesso componesse versi. Peccato che la cultura, non sempre bastasse come garanzia dell'esser davvero nobile nell'animo. Per contro, Giacomo Resta era infatti anche viziato e vizioso, altezzoso, arrogante e presuntuoso. In svariate occasioni, i suoi genitori avevano cercato di presentargli le fanciulle più nobili e ben educate del paese e di quelli limitrofi, per indurlo a mettere la testa a posto e a crearsi una famiglia, con tutte le responsabilità che ciò avrebbe comportato. A Giacomo però, non andava bene nessuna. Con le più belle, certo non disdegnava di trascorrere qualche focosa notte, ma tutto nasceva e moriva tra quelle lenzuola. Eppure, nonostante le voci girassero, uomini come Giacomo restavano sempre attorniati da ragazze attratte da quel fascino calamitico. Sì: bisognava iniziare dal capo dei Casanova del paese, bisognava punire la sua eccessiva autostima e prepotenza. Mondano e "festaiolo" com'era, a Rebecca non sarebbe mancata occasione per incontrarlo. Adesso, anche lei avrebbe partecipato a tutte le frivole occasioni di divertimento a cui si era sempre negata, almeno fino a quando non aveva conosciuto Andrea Colaleo. Era lui che la obbligava a seguirlo, per poterla esibire come fosse la medaglia sul petto. Rebecca era certa di non poter fallire: quale uomo avrebbe mai rifiutato una notte di piacere con una donna che gli si fosse offerta in maniera gratuita? Decisamente meglio che pagare le professioniste del sesso! Chissà perché tutti si erano sempre riferiti al genere maschile come al "sesso forte": la Vicenti non era mai riuscita a spiegarselo. A lei pareva piuttosto l'esatto contrario: gli uomini, o meglio "i maschi", erano così tronfi e sicuri della propria furbizia, da non mettere in conto che la stessa avrebbe potuto ritorcerglisi contro. A una donna sarebbe bastato poco per impugnare il coltello dalla parte del manico, offrendo su un piatto d'argento quello che era l'oggetto della loro caccia perpetua! Rebecca pensava a quanto le sarebbe stato facile attrarre Giacomo Resta nella sua rete, a come lo avrebbe punito per la sofferenza che aveva arrecato a troppe ragazze. Per questo, al posto di Andrea e di Giulio, avrebbero pagato coloro che, rivestiti di una falsa parvenza d'innocenza, non erano certo meno colpevoli di loro. I giovani che avrebbe scelto come vittime, in maniera del tutto casuale, non avevano oltraggiato direttamente Rebecca, ma tante altre donne, distrutte da ciò che era stato loro veduto come amore. In uno strano delirio causato dai bollori della rabbia misti alla sete di giustizia, la Vicenti avvertiva su di sé un inconsueto senso di responsabilità nei confronti di quelle fanciulle che mai avrebbe conosciuto. Mentre pensava già alla prima vittima, le pareva di sentire ancora quel profumo, il profumo del giovanotto gentile che era sceso dall'auto per sincerarsi che lei stesse bene. Di lui sapeva solo che si chiamava Beppe, che aveva occhi grandi e un profumo che ne avrebbe segnalato la presenza a metri di distanza, uno di quei profumi che sanno incutere la nostalgia di non poterli respirare. Quel profumo era ormai diventato il pensiero fisso di ogni notte. Una mattina, fermandosi come di consueto al chioschetto dei giornali, Rebecca si mise a sfogliare il Gazzettino locale. Un titolo in terza pagina catturò la sua attenzione: "Grande festa a Palazzo Resta per il compleanno del marchesino Giacomo"

"Fantastico! Allora dev'esser vero che ciò che la tua mente richiama si avvera! Comincio a credere che la nonna un po' di ragione l'avesse, con quei suoi discorsi circa la provvidenza!"- pensò tra sé Rebecca.

L'amore avvelenatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora