Calamita e calamità.

159 15 40
                                    

Rebecca cercava di evitare il più possibile gli incontri con Beppe Guglielmi, nonostante si fossero promessi di vedersi di nascosto. Quando proprio non riusciva a dir di no, il freno scattava nel momento in cui il giovane cercava di spingersi ben oltre i baci arroventati. Le sue labbra sfioravano il collo affusolato, le spalle esili e i seni, non troppo prosperosi, ma bianchi e sodi. Puntualmente, però, lei lo bloccava. Poi tornava a casa, dove non potendo avere quelle del giovane amato, le sue labbra si incollavano ancora una volta alla bottiglia. Il povero Beppe, che fino a quel momento aveva dato prova di una pazienza a dir poco proverbiale, iniziava a cedere. Più tempo passava, meno comprendeva Rebecca. Nascondeva qualcosa: di questo era certo. Ma cosa? Sarebbe toccato a lui scoprirlo. Beppe Guglielmi si soffermò su un piccolo particolare, relativo all'ultima volta che si erano visti, e lui aveva provato a convincerla ad essere sua.

"Non capisco: sei tu che mi dici sempre che sono la tua calamita. Scusami se mi permetto di dubitare della veridicità delle tue parole, ma pare proprio che io sia a questo punto una calamita smagnetizzata, dato che non riesco ad attrarti!"- le aveva detto.

Lei era scoppiata a piangere: "Invece tu mi attrai tantissimo! Dio solo sa quanto tu mi attragga, Beppe. Te lo ripeto, tu sei la mia calamita, ma il fatto è che..." e si arrestò interdetta.

Sarebbe stata proprio quella l'occasione giusta per vuotare il sacco. La ragazza, invece, proseguì dicendo: "Il fatto è che... se tu la mia calamita, io potrei diventare la tua peggiore calamità! Non chiedermi altro, ti prego. Si deve aspettare ancora."- e fuggì via... ancora una volta!

"Cosa mai avrà voluto dire con quella frase? - si tormentò il giovane, che non riuscì proprio a darsi una risposta. Entro pochi giorni, però, sarebbe tornato sull'argomento. Nel frattempo, le ultime tre ragazze si presentarono in ambulatorio da Valenti, per effettuare le analisi. Se quella infetta non fosse stata tra loro, ciò avrebbe significato solo una cosa: Rebecca Vicenti era il minimo comun denominatore di quei casi di sifilide esplosi in paese.

"Rebecca, dobbiamo vederci. Ti aspetto questa sera a casa mia. Vorrei parlarti lontano da occhi e orecchie indiscrete. Cerca di trovare il tempo e il modo per esserci"- le disse una mattina Beppe Guglielmi dall'altra parte del telefono, con voce ferma e decisamente più fredda.

"Io... farò di tutto per esserci!"- replicò la ragazza con scarsa convinzione. E ora? Che fare? Ancora una volta, il destino insisteva nel presentare sul tavolo le carte giusta da giocare: quelle della verità. Per prepararsi psicologicamente all'ennesima, la più ardua, Rebecca bevve ancora.

Ormai l'alcool lo sopportava bene: non la stordiva, non la inibiva rendendola catatonica, né accendeva in lei un'eccessiva euforia. Affogava e spegneva soltanto le sue pure e la sua ansia, la tranquillizzava... o almeno era quello che aveva sempre creduto fino a quel momento. La giovane indossò un vestito sobrio e poco vistoso, cosicché reggesse meglio la scusa che avrebbe imbastito a Esterina e Letizia.

"Dove sei diretta, figliola? Non mi sembra che tu mi abbia chiesto il permesso di andare da qualche parte!"- la ammonì infatti sua madre, in tono severo.

"Da donna Teresa! Luigi, e Irene saranno fuori paese. Un tizio vuole mostrargli la propria cantina, e loro sembrano interessati a un possibile acquisto. Teresa non sta molto bene, e Irene mi ha telefonato, chiedendomi se potessi fermarmi a dormire da sua suocera, in caso avesse avuto bisogno di qualcosa!"- rispose Rebecca, cercando di mostrarsi il più possibile decisa.

Esterina però parve perplessa: "Uhm... perché non lo ha chiesto a me?"- incalzò.

Rebecca impallidì e tacque.

"Sappi che non sono nata ieri! Se tu, figlia mia, ti credi tanto furba, io torno a ripeterti che posso diveltarlo più di te. Lascia solo che scopra che non sei stata da donna Teresa, e questa volta non te la faccio passare liscia?" - disse una severa Esterina senza ammettere repliche.

"Sei stata chiarissima! Ma ora lascia che vada, perché donna Teresa mi starà già aspettando!"- esclamò Rebecca cercando di non scomporsi. Sapeva bene che in certe occasioni occorreva mostrare freddezza e lucidità, altrimenti i sospetti della controparte sarebbero aumentati. Lungo la strada, il mal di testa divenne martellante. I pensieri la seguivano come uno sciame di zombie affamati, che volessero sbranarle il cervello. La sua maggiore preoccupazione riguardava Beppe! Dentro di lei, infatti, qualcosa le assicurava che il giovane avrebbe troncato loro relazione, (se così si poteva chiamarla), quella sera stessa. Eppure, solo Rebecca sapeva quanto le costasse tenerlo lontano, e quanto amore ci fosse nel mantenere le distanze fisiche. Soprattutto, si chiedeva se Beppe sarebbe stato capace di comprendere e di aspettare. La rassicurava il fatto che non avesse osato puntarle l'indice quando gli aveva parlato delle sue relazioni sbagliate. Dall'altra parte, però, era ben consapevole che avergli tenuto nascosta una malattia tanto contagiosa costituisse una colpa imperdonabile. Le gambe l'avevano portata di fronte all'abitazione dei Guglielmi. Respirò, si fece coraggio e bussò. Beppe l'accolse senza quel sorriso per cui lei impazziva.

"Sono felice che tu abbia scelto di venire! Seguimi, accomodiamoci dentro!"- le disse in tono quasi glaciale.

A lei sembrò crollare il mondo sulle spalle, ma sapeva già che il vero crollo doveva ancora avvenire...

L'amore avvelenatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora