Erano trascorse due settimane, e Rebecca, che poteva contare sula forza e sul vigore della giovinezza, parve essersi ripresa, almeno dal punto di vista fisico. Una rosa bianca, che spiccava in mezzo a un mazzetto di profumate viole, fu adagiata sul cumulo di terra, ancora fresca, che ricopriva il sonno eterno della piccola Iside. Era stata sepolta nell'ala del cimitero riservata ai bimbi nati morti, o prematuri. Quel mattino, Rebecca s'era recata al cimitero accompagnata da Letizia.
"A che cosa è servito scappar via da casa di Jolanda all'ultimo momento? Eh, nonna? Io amavo la mia creatura! La amavo di già!"- pianse la giovane.
"Lo so, tesoro mio, e lo sa anche lei! Ti ha sentita, quando con grande coraggio, sei scappata via da casa di Jolanda; quando hai urlato quel "Non posso!". Credimi, la tua creatura si è sentita amata, per il breve tempo in cui ha abitato il tuo grembo!"- le disse la nonna accarezzandole il volto. Poi si fece in disparte, indietreggiando di alcuni passi, per consentire a Rebecca di pregare per la piccola Iside, o di parlarle, rivolgendole le parole con cui non aveva potuto accoglierla. E Rebecca ci parlò con sua figlia: "Bambina mia, forse potrebbe essere un bene che tu sia stata tolta a una madre indegna, ma il dolore è lancinante, e per quello non hanno inventato farmaco alcuno! Forse, se avessi potuto appena udire il tuo pianto, decodificare dal tuo strillare il suono della voce che avresti , sarebbe stato più semplice! Se avessi potuto accarezzare la tua pelle, sondandone la morbidezza; imprimermi il tuo odore nelle narici; guardare anche solo per pochi secondi il colore dei tuoi occhietti, lo avrei accettato più facilmente! Ma in questo modo no! Iside, ... dormi serena, d'accordo? Le visite della mamma saranno costanti: è una promessa!"- disse tra sé, in maniera che potesse udirla solo lo spirito della figlioletta. Nonna e nipote si spostarono poi verso la cappella di famiglia, dove erano inumati il padre e il nonno di Rebecca. La giovane si rivolse invece al padre: "Quanto vorrei che tu fossi qui ad abbracciarmi, a riempire con le tue battute allegre questo vuoto. Poco ma sicuro che un sorriso riusciresti a strapparmelo. Abbi cura della tua nipotina: non farla sentire sola. Se ti riuscisse, portamela in sogno!".
I morti, però, non hanno risposte. Almeno non immediate, come l'essere umano vorrebbe. Le risposte dei morti arrivano con i loro tempi, diversi da quelli terreni. Le risposte dei morti devi saperle cogliere e interpretare, perché non viaggiano sulle frequenze dei vivi. Letizia e Rebecca si avviarono verso il cancello: lo oltrepassarono e si lasciarono alle spalle quegli imponenti cipressi, che collegavano cielo e terra. Camminavano sottobraccio. Di tanto in tanto, la nonna scrutava muta il volto della nipote.
"So cosa vuoi chiedermi! Lunedì mattina andrò in ospedale da Valenti. Tranquilla, le farò quelle analisi"- le rispose la nipote, risparmiando a Letizia di porle per la milionesima volta la medesima domanda.
A pranzo, quei maccheroni, pallidi e smunti, anemici e tristi come chi li rigirava con la forchetta, rimasero per la maggior parte nel piatto. Nessuno osò forzarla quando Rebecca annunciò: "Se non vi spiace vorrei andare a riposare un po', devo essermi affaticata più di quanto credessi stamani!". Un'ora dopo bussarono alla porta: Nadia si trovò di fronte una Irene che indossava il consueto sorriso allegro. Tra le mani aveva un piccolo pacchetto: un regalo per Rebecca. Non immaginava cosa avesse dovuto passare l'amica. Si accorse subito di quanto quel suo sorriso stonasse con l'atmosfera che si respirava in casa. Letizia ed Esterina le raccontarono tutto. Non sarebbe riuscita a dire nulla, la giovane Irene, e ricorse alla sola cosa in grado di contenere tutte le parole del mondo: un abbraccio. La forza che riuscì a infonderle fece distendere i lineamenti tiratissimi di Rebecca. Mentre Irene lasciava la stanza, l'amica la fermò sulla soglia, chiedendole se le andasse di accompagnarla l'indomani in ospedale, per effettuare le analisi predisposte dal Valenti. Irene annuì comprendendo quanto sarebbe stato importante il suo supporto.
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L'amore avvelenato
Ficción GeneralPuglia, anni '20 del '900. Rebecca Vicenti è innamorata persa di Andrea Colaleo. Tutto è pronto: abito bianco ricamato, lista degli invitati e lauto banchetto. Custodita nel cassetto di un armadio, c'è la cospicua dote che la ragazza, figlia di una...