Stufa di essere ignorata, costernata e stupita dal fatto che ogni sua provocazione nel vuoto, Chiara Lonigro decise di affrontare la sua compagna di cella.
"Ma diamine, quanta capacità di resistenza possiedi? Ok, carina, ho capito che con te non funziona il giochetto che ha piegato le altre. Finalmente, una che come me abbia un briciolo di grinta, una donna vera e non tappetino piagnucoloso. Devo riconoscere che siamo alla pari, e bada bene: ti sto facendo un complimento enorme! Hai superato il mio "test d'ingresso", quindi direi che potremmo deporre ogni arma, e provare a confidarci un po' di più. In fondo, qui dentro dovremo restarci per lunghissimo tempo, quindi non dico che dovremmo diventare amiche, ma supportarci almeno l'una con l'altra. Che ne pensi?"- le disse sorridendole, e porgendole la mano in segno di "cessate il fuoco". La Vicenti però, non le allungò la sua. Rimase impietrita, austera con le braccia incrociate sul petto, e guardò la bionda dall'alto in basso.
"Fammi capire una cosa: prima mi tratti da schifo, imponendo regole assurde, e ora, di punto in bianco, mi riveli che si è trattato di una specie di test? E soprattutto, te ne esci chiedendomi di diventare confidenti? No, grazie! Vuoi andare d'accordo con me? Ottimo, ti svelerò subito come fare: basta ignorarmi! Fa conto che io sia trasparente come l'aria. Non dovrebbe risultarti tanto difficile, dal momento che sono stata, almeno credo, sempre silenziosa e discreta - le disse stizzita, girandosi di spalle e dirigendosi poi verso la sua brandina, dove si rannicchiò. Chiara prese l'unica sedia impagliata e pericolante che vi fosse in cella, e le sedette accanto: "Rebecca, ascolta, lo so che non ti ho accolta nel migliore dei modi, ma cavolo, se c'è una cosa che ho imparato è che la fiducia non va concessa "alla cieca". Bisogna sempre valutare chi si ha di fronte e se ne valga la pena. E questa piccola prova da superare, come , è servita per appurare che con te può davvero esserci un confronto costruttivo. Ad esempio, non dirmi che non ti ha per niente solleticata l'idea di sapere perché io sia qui dentro, o comunque di conoscere qualcosina in più su di me..."
La ragazza dai capelli corvini non si preoccupò neppure di voltarsi verso la bionda, le disse soltanto: "Ti offenderesti se ti dicessi che non mi interessa affatto?"
"Benissimo! Il fatto che non ti interessi non vuol dire che io non possa parlartene!"- sorrise Chiara, come se Rebecca le avesse palesato la più viva curiosità. Infilò poi le mani nella scollatura del camicione che costituiva parte della divisa delle carcerate, all'altezza del seno, ed estrasse una foto. Ella vi figurava con i capelli raccolti in una treccia: in braccio un bimbo forse sui due anni, pieno di ricci e al suo fianco un ragazzo, alto e dal fisico muscoloso. Non lo si poteva definire bello, soffermandosi sul viso, ma aveva gli occhi di una persona innamorata. Accarezzò quei volti con un tocco lieve, quasi etereo, con una dolcezza emozionante e disarmante. Il cuore di Rebecca si sciolse: "Sono la tua famiglia?"- chiese sulla cresta dell'onda emozionale che l'aveva travolta. "Erano la mia famiglia!"- replicò la bionda, sforzandosi di trattenere le lacrime.
"Come erano?"- domandò la mora, sgranando i suoi occhioni.
Chiara tirò un lungo sospiro, e accasciandosi sulla branda, iniziò a raccontare: "Me li hanno ammazzati! Ed ecco perché sono qui dentro: ho tolto la vita a chi ha ammazzato le persone più importanti della mia vita! Ero una modista, sai? E anche piuttosto brava. Le mie creazioni riscuotevano grandissimo successo. Ho lavorato anche per delle famose boutique francesi a cui inviavo i bozzetti o gli abiti finiti. Federico, mio marito, gestiva una tabaccheria. Era un ragazzo onesto e buono come il pane. Poi arrivò Leonardo, il nostro regalo più grande, e la nostra felicità sembrava completa. Federico però, mi aveva taciuto una cosa molto importante. La mafia gli aveva chiesto ripetutamente il pizzo, e lui, ogni volta aveva chinato il capo e pagato anche a costo di indebitarsi fino al midollo. Poi, un giorno, decise di dire basta. Pensava fosse facile, povero marito mio! Nella sua ingenuità, non aveva considerato che quelli, sul momento accettano un no senza fare una piega, e poi ti fanno una festa coi fiocchi! Mi costrinse a preparare subito le valigie: "Domani dobbiamo andarcene di qui!"- disse. Sgomenta, gli domandai perché fosse necessario partire così all'improvviso, e solo allora mi rivelò tutto. Volli subito passare a salutare i miei. Racimolando tutta la mia forza, decisi di dire alla mamma e al papà che saremmo partiti per una lunga e bella vacanza, per quel viaggio di nozze che avevamo sempre ritardato. Trascorsi qualche ora in loro compagnia, e lungo la via del ritorno, man mano che mi avvicinavo a casa, sentivo un odore di fumo e di bruciato penetrarmi sempre più nelle narici e nella gola. Di lì a poco, avrei scoperto le fiamme che divoravano la nostra amata dimora, di cui non era rimasto quasi niente. Urlai di terrore. Persi i sensi e mi risvegliai poi tra le braccia di un'anziana vicina. Pregavo che mio marito e mio figlio fossero riusciti a scappare, anche se dentro di me, qualcosa mi suggeriva l'esatto contrario. La conferma me la diede uno dei vigili del fuoco che cercavano di domare le fiamme. Mi prese da parte e mi rivelò che Federico e Leonardo avevano perso la vita. C'erano i loro corpi carbonizzati all'interno, pare fossero abbracciati. Almeno così mi dissero, perché non mi permisero di vederli. Capii subito cosa fosse avvenuto: quegli infami mi avevano bruciato casa con la famiglia all'interno. Forse non si erano neanche resi conto che io mi trovassi fuori!"
Adesso era Rebecca ad avere i lacrimoni e un nodo che le stringeva la gola. Aveva ascoltato tutto in silenzio, e le appariva sempre più difficile riuscire a trovare le parole adatte.
"Chiara ma... è terribile! E io che mi sono sempre lagnata per quello che ho dovuto sopportare, senza pensare che avrebbe potuto esserci qualcuno a cui era toccato di peggio! Ma poi cos'è accaduto? Come sei riuscita a risalire a chi aveva organizzato tutto e a compiere la tua vendetta?"- volle sapere.
"Non era difficile rintracciare Don Palmino Maiellaro. Dove vivevo io, "Don Mino" lo conoscevano tutti. Era lui che aveva il controllo completo del paese e delle attività commerciali, ma soprattutto delle vite. Mi recai da lui con indosso uno dei miei vestiti più belli: rosso, con la scollatura generosa e i fronzoli sul bordo, come le ballerine di charleston. Le labbra tinte dello stesso colore, i capelli tirati in su. Lui, temeva l'ennesima scenata di una vedova isterica e piagnucolona, ma io seppi recitare magistralmente la mia parte, sai? Gli feci credere di dovergli un favore enorme per avermi liberata dall'ingombrante presenza di un uomo che non amavo e di un figlio che mai avrei voluto. E per dimostrargli la mia gratitudine... beh... non mi restava che sfoderare tutte le arti femminili che conoscevo. Mi sedetti sulle sue gambe, gli permisi di trafficare con le sue manacce sporche di sangue nella mia scollatura. Ma lo sventurato, non sapeva che avevo con me nella borsa un coltello, piccolo ma affilato. La prima coltellata, dritta al cuore, fu già letale, ma volli riservargliene altre. Dovevo essere sicura che l'infame avesse consegnato l'anima nelle mani del diavolo! Morì emettendo un unico gemito, simile a un grugnito. Gli occhi gli si riempirono di stupore e incredulità, prima che li rovesciasse all'indietro.
"Santo cielo!!- esclamò la Vicenti portandosi le mani al petto- "Chiara, trovo tu sia stata eccezionale! Sei riuscita a fargli pagare il conto. E non deve essere stato facile fingere di provare attrazione per l'assassino di tuo marito e di tuo figlio. Ci vuole una forza immane. Ti ammiro. Ti ammiro davvero! Come scoprirono che eri stata tu l'autrice dell'omicidio di Don Palmino?"
"Fui io stessa ad avvertire le autorità, a chiedere che venissero a prendermi!"- ammise Chiara- "Ritenni che per me fosse meglio finire la vita in carcere, che essere ammazzata per ritorsione dalla "famiglia" di Don Mino! In fondo, questo è il luogo per me più sicuro, e l'ho accettato da subito"- puntualizzò la bionda. Fissò per alcuni secondi la sua compagna di cella, per poi proseguire: " Bene, ti ho aperto il mio cuore e ora conosci la mia storia. Ti andrebbe di raccontarmi la tua? Come sei finita qui dentro? Ho notato che anche tu hai una foto a cui sei legatissima, ti vedo accarezzarla e baciarla ogni sera prima di dormire. Chi è il bel giovane che vi è ritratto? "
"Sono finita in cella per qualcosa di più atroce, rispetto a quello che mi hai raccontato"- esordì Rebecca. Le raccontò per filo e per segno ogni dettaglio di una vicenda umana che l'aveva disumanizzata. Per finire, le parlò di lui... del suo amato Beppe, e dell'involontaria condanna che gli aveva inferto. Le spiegò che era lui il giovane ritratto in foto, e che quella sua delicata e fulgida bellezza, presto sarebbe stata un ricordo.
"Scommetto che adesso ti rimangerai tutto quanto mi hai detto pocanzi su una compagna di prigionia alla tua altezza!"- concluse tra le lacrime.
Chiara l'abbracciò con un'intensità che forse mai aveva riservato ad anima viva: "Niente affatto! La rabbia che covavi dentro doveva pur uscire. I tuoi familiari e i tuoi amici, se ti amano, capiranno. Questo temo non varrà purtroppo per il tuo Beppe. Nonostante tutto, devi lottare e non lasciarti andare. Mi dicevi che il bell'uomo che venne a trovarti l'altro giorno, e che avevo scambiato per il tuo fidanzato, è in realtà il tuo avvocato. Bene, accetta il suo aiuto, dammi ascolto!"- le consigliò.
"Ci penserò, ci penserò Chiara. Grazie davvero per la comprensione!"- le disse la Vicenti.
La bionda rinnovò l'abbraccio: "Rebecca, adesso hai un'amica in più, ricordarlo!"
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L'amore avvelenato
General FictionPuglia, anni '20 del '900. Rebecca Vicenti è innamorata persa di Andrea Colaleo. Tutto è pronto: abito bianco ricamato, lista degli invitati e lauto banchetto. Custodita nel cassetto di un armadio, c'è la cospicua dote che la ragazza, figlia di una...