Capitolo 3

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Come suggeritole da Matilde, Altea quella sera indossò la lunga gonna blu e vi abbinò sopra una maglietta che le lasciava le braccia scoperte, con un colletto ricamato intorno al collo. Quella magliettina era della mamma di Altea. Quando i suoi genitori erano venuti a mancare ad Altea erano rimaste tutte le loro cose. Non che fossero molte, è chiaro, ma abbastanza per lasciarle ricordi. Altea ricordava che il profumo di sua madre ci aveva messo quasi cinque mesi prima di sparire del tutto dai suoi vestiti. Solo allora Altea aveva deciso di iniziare ad indossarli, anche perché non li avrebbe mai buttati e a lei, effettivamente, facevano non poco comodo. I vestiti del padre, invece, li aveva donati al centro anziani del paese, tenendo per lei giusto un paio di maglioni, un giaccone che usava d'inverno per lavorare nell'orto quando faceva freddo e una camicia. In realtà aveva tenuto anche gli scarponcini marroni pieni di terra.

Si guardò nel vecchio specchio affisso all'interno dell'anta dell'armadio che aveva in camera. Era bella. La gonna le cadeva a pennello, segnandole il punto vita. I capelli erano sciolti lungo le spalle e qualche ciuffo più corto le incorniciava i lati del viso. Non aveva trucchi in casa e di certo non poteva permetterseli, ma a esser sinceri non le erano mai interessati. Con il lavoro che faceva di certo non aveva il tempo di truccarsi. Non aveva gioielli o ornamenti da mettere al collo o ai polsi. C'era solo lei, in tutta la sua genuinità e questo le strappò un sorriso. Ogni volta che si guardava allo specchio Altea si riconosceva. Sapeva chi era, e non tutti avevano questo privilegio.

Un brusco bussare alla porta la fece sobbalzare. Non aspettava nessuno, nemmeno Matilde, in quanto si erano date appuntamento in piazza.

Andò verso la porta con una strana ansia, la stessa che poche sere prima l'aveva pervasa sulla via del ritorno dalla cittadina. Aprì l'uscio solo leggermente e si sporse per guardare oltre.

Matilde era proprio li dietro, con la sua gonna rosa e una camicia a maniche lunghe molto sottile che le lasciava scoperto il petto.

«Che ci fai qua?»

Dentro di sé, Altea tirò un sospiro di sollievo, e intimò a sé stessa di smetterla.

«Ebbene, amica mia» proruppe Matilde entrando in casa come un uragano. «Ero già pronta, non mi andava di aspettare ancora, né di arrivare troppo presto. Bisogna farsi desiderare» spiegò, ammiccandole.

Altea chiuse la porta e la seguì in cucina.

«Così ho pensato di passare da te e avviarci insieme.»

«Ok, ma prima di andare devo sistemare le galline.»

Altea possedeva cinque galline, in un piccolo pollaio che aveva proprio dietro casa. La sera le chiudeva nella loro casetta in legno per proteggerle dalle volpi che gliene avevano già uccisa una.

«Ma non potevi farlo prima di vestirti?»

«Matilde, ci metto un secondo. Non devo rotolarmi per terra, devo solo chiudere una porta.»

Matilde incrociò le braccia al petto e si appoggiò con il sedere contro il tavolo.

«Io ti aspetto qui. Non ho alcuna intenzione di sporcarmi la gonna.»

«Puoi almeno venire fuori, così una volta che le avrò chiuse potremmo avviarci, no?»

«Mhm... Va bene.»

Con la sua andatura ondeggiante, Matilde si avviò fuori casa. Altea lasciò la finestra della cucina leggermente socchiusa, per far entrare un po' di fresco. La sua casa era strutturata in due piani. Al piano terra c'era il magazzino, un grande spazio dove teneva provviste, attrezzi da lavoro e così via. La parte abitabile invece era al piano superiore, quindi era praticamente impossibile che qualcuno riuscisse a entrare: primo perché non c'erano punti di appoggio ma solo una parete di rocce lisce. Secondo, perché anche se ci fossero riusciti non avrebbero trovato nulla da rubare. Terzo, perché la sua casa era molto isolata, quindi di li non passava praticamente nessuno.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora