Capitolo 45

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Gli occhi di Andrea erano taglienti come le lame che teneva nella cintura.

Quelle di Altea e Matilde erano state riempite di sassi, alcuni messi nella sacchetta che penzolava sul lato destro, alti messi li dove gli altri tenevano boccette e pugnali. Questo era per simulare il peso delle armi che avrebbe avuto addosso, quindi il peso effettivo con il quale avrebbe dovuto imparare a combattere.

Dovevano essere almeno cinque o sei chili divisi tra gambe, fianchi e braccia.

Si sentiva impacciata. Appesantita.

«Mi hanno detto che hai ottimi riflessi e che sei molto brava nelle prove di resistenza. E visto che anche Andrea eccelle in questo, direi di iniziare da voi due» le stava dicendo Antonio.

Andrea era andato al centro dell'arena con fare scocciato e tracotante, e la guardava con distacco e arroganza.

«Luigi e Matilde mettetevi di qua. I miei figli vi daranno nozioni sulla difesa. Ci batteremo tutti a coppie.» Guardò sua moglie ed entrambi si sorrisero. Antonio allungò una mano che Nic afferrò prontamente. «Io con la mia bella moglie.»

Ben distanziati, tutte e tre le coppie iniziarono la lezione.

«Prima regola» sbottò Andrea senza perdere tempo, le braccia conserte sul petto. Era alto poco meno di Luigi e doveva avere circa la sua età.

Prima che potesse accorgersene, Altea era a terra, sopra di lei solo il cielo. Una fitta dolorosa alle gambe le fece trattenere il respiro.

«Sii più veloce del tuo avversario.»

Altea si tirò sui gomiti e lo guardò in cagnesco. Si rialzò in piedi.

«Seconda regola. È importante la forza fisica.»

«Mi sto allenando per questo» ribatté stizzita.

Andrea alzò leggermente il mento. Aveva una leggera gobba sul naso, che con la mascella squadrata non era per niente fuori luogo. Le labbra non erano troppo carnose, ma aveva il taglio d'occhi della madre, felini. Ciglia lunghe.

Arrogante abbastanza da attirare lo sguardo fugace di Matilde. Altea lo aveva notato.

«Certo» la sbolognò. «Devi allenare anche la mente se vuoi sopravvivere.»

«In che senso?» chiese Altea.

«Nel senso...» sospirò, «che è importante e necessario calcolare possibili scenari, analizzare la zona, le via di fuga, il terreno, i pericoli. Calcolare il contrattacco. Perché loro attaccheranno.» Il suo sguardo si fece lontano, ardente. «Lo fanno sempre.» Tornò a guardarla. «Devi prevedere le azioni dell'avversario, essere sempre un passo avanti. Attacca per prima. Non darti troppa pena, perché loro non avranno pietà.»

Come non né aveva avuta lei quando aveva ucciso Luciano. Quando aveva sfondato la sua cassa toracica e si era macchiata del suo sangue. Chissà se lui l'aveva vista. Chissà se, anche se dormiva, aveva potuto vederla, sapere chi era, capire cosa le stava facendo. Chissà se aveva sofferto. Questo pensiero la tormentava.

«Comunque le regole non ti aiuteranno sempre.»

Altea tornò a guardarlo, riportando la sua mente lì, sul campo. Al presente.

«Combattere contro creature come quelle lì fuori significa accettare l'imprevedibilità. Accettare l'impossibile. Vederli scomparire. Vederli mutare. Si prenderanno gioco di te solo perché possono farlo. Per questo devi sempre attaccare per prima. Senza pensare. Vai e colpisci.»

Era talmente distaccato e vuoto mentre diceva tutto quello che Altea aveva l'impressione di avere una macchina davanti a sé, non un uomo. Questo la raggelava, perché quel ragazzo era suo coetaneo, fin troppo giovane per essere così arrabbiato, letale.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora