Altea continuava a saltellare sul posto nervosa, scrollando le mani per scacciare il freddo e la tensione, ma nessuna delle due sembrava intenzionata ad abbandonarla. Il naso le si era completamente ghiacciato, i piedi non ne parliamo.
Avevano lasciato le scarpe e i giacconi in macchina, parcheggiata ai piedi del ponte. La salita fino al ponte era stata faticosa, soprattutto perché indossavano solo un paio di calzini, e la terra e i sassi sotto ai piedi non erano stati piacevoli, ma non potevano rischiare di bagnare le scarpe.
Altea aveva notato che Luigi nella macchina teneva delle coperte di lana e un altro paio di scarponi di ricambio. Forse proprio per queste occasioni, quando stanco di tutto, andava a gettarsi nell'acqua ghiacciata, per scacciare i pensieri ed evadere dalla realtà.
Lei tremava per la paura, per il freddo, per tutto. Luigi continuava a guardare sotto di lui, come per controllare che l'acqua fosse abbastanza calma, che il vento non soffiasse troppo forte e quella sera fosse tutto perfetto. Peccato che per lei non era niente perfetto.
«Sai, ci sto ripensando» ammise, mentre continuava a saltellare sul posto.
Luigi si avvicinò a lei e iniziò a sfregarle le braccia con le mani su e giù nel vano tentativo di scaldarla.
«Se non te la senti torniamo subito giù, ma se credessi che fosse troppo pericoloso non ti ci avrei mai portata. L'acqua è profonda, la corrente e quieta. Ci sono tutti i buoni propositi per farlo, ma se non te la senti torniamo indietro senza nemmeno pensarci.»
Quella frase le risuonava nel cervello. Era con un dito fastidioso che continuava a pizzicare il campanello della bicicletta, provocandole un irritante mal di testa e mandando a fuoco il suo orgoglio. Ma perché era così? Non doveva dimostrare niente a nessuno, e a pensarci lei non lo faceva per gli altri. Lo faceva per sé stessa. Per non permetterle di fermarsi, per mettersi alla prova, per non impedire che le sue paure o le etichette le impedissero di vivere la vita al meglio che poteva.
Chiuse gli occhi e iniziò a scavare dentro di sé, andando a cercare tutta la rabbia e la tristezza che aveva provato in quegli ultimi anni. In quegli ultimi giorni. Tra la morte dei suoi genitori, la morte e presunta resurrezione di Luciano, la comparsa e l'abbandono di Damiano, veramente non aveva avuto più niente a cui aggrapparsi per mantenersi in vita; solo il suo lavoro. Era quello la leva di tutto. Il suo lavoro, la chiave della sua indipendenza. Certo, non che servisse a molto se lanciandosi da quel ponte sarebbe morta. Ma si fidava di Luigi, così fece appello a tutta la sua rabbia e Luigi non la interruppe mai. Aspettò, mentre continuava ad accarezzarle le braccia, in silenzio, come se sapesse.
Quando riaprì gli occhi era carica di odio, risentimento, paura e dolore.
Luigi le sorrideva. «Pronta?»
Fece di sì con la testa e lui le afferrò la mano.
Quando salirono sul cornicione le sembrava di essere sulla cima del mondo. Era insicura sui piedi e non aveva il coraggio di guardare giù, così si concentrava sul buio davanti a sé, sulle cime degli alberi, lo scroscio dell'acqua, il rumore leggero del vento freddo che smuoveva le foglie secche. Inspirò a fondo e nonostante la paura, sorrise.
Si voltò verso Luigi.
«Sono pronta.»
«Ok. Quando tocchi l'acqua, piedi rigidi, braccia stese lungo il corpo.»
Lei annuì, senza riuscire a guardare altro se non lui. Era terrorizzata e anche emozionata. Era una pazzia. Una pazzia. «Quando siamo in acqua non lasciarmi la mano.»
Luigi le sorrise dolcemente e con sguardo sorpreso, come se non si sarebbe aspettato che sarebbe arrivata fino in fondo.
«Non ti lascio.»
STAI LEGGENDO
Quando cala il buio
FantasyItalia, 1960. Altea è una ragazza di ventun anni che vive in un piccolo paesino di campagna, dove la cosa più emozionante che possa succedere durante tutto l'anno è la festa di fine estate, quando ci si riunisce in piazza a mangiare pizzette e ciamb...