Non sapeva come né quando, ma era a casa.
Non sapeva quanto tempo fosse passato. Non le importava.
Passavano i giorni, nei quali era da sola, non parlava a nessuno se non per congedarli il più velocemente possibile.
Passavano le notti, nelle quali lui veniva a trovarla, cercando di tirarla su, di starle accanto, trattenendosi dal desiderio di urlarle contro e dirle che era stata una sciocca. Poi con la luce del sole se ne andava.
Damiano aveva dato fuoco al corpo di Luciano e a tutta quella maledetta stanza. Glielo aveva detto lui, anche se la sua voce allora le era sembrata così lontana.
Matilde era andata a trovarla, preoccupata perché sparita per un giorno intero.
«Non sapevo dove fossi, credevo ti fosse successo qualcosa» le aveva urlato contro, turbata. «Hai saputo di Rosalina?»
Eccome se lo sapeva.
Rosalina era tornata a casa, su una sedia a rotelle. Avrebbe dovuto fare riabilitazione e forse, ma solo forse, sarebbe tornata a camminare. Il processo sarebbe stato lungo e doloroso, ma poteva tentare. Doveva.
Altea non era mai andata a trovarla. Non né aveva il coraggio.
Non mangiava da giorni, se non quando veniva Damiano la sera a cucinarle qualcosa. Ma anche allora non si poteva proprio dire che mangiasse. Piuttosto spiluccava.
A volte quando arrivava la trovava seduta a terra, lo sguardo perso. Da fuori si sarebbe potuto pensare che fosse come una scatola vuota, pronta a rotolare via con un soffio di vento.
Ma non era così.
La scatola era piena, straripava, rischiando di scoppiare.
In quei giorni che si erano susseguiti, lunghi e inesorabili, Dante non si era più fatto vivo. Era come se tutto quello non fosse mai successo. Ma lei non sarebbe mai riuscita a dimenticare. Dimenticare il rumore della pelle che si strappa. Delle ossa che si spezzano. La sensazione di vuoto del suo peso che cade verso il basso, una volta che la cassa toracica era stata sfondata abbastanza da infilarvi il paletto. I battiti di Padre Flavio sulla porta ancora le risuonavano nella testa. Di notte si svegliava, quelle poche volte che riusciva a chiudere occhio, con il martellare di quelle mani sulla porta.
Poteva sentire ancora l'odore di sangue.
C'erano voluti minuti eterni per pulirla da tutto il sangue che aveva rappreso sulle mani, sul viso, sul corpo. I vestiti li avevano bruciati.
Poteva ancora vedere Rosalina che si gettava tra le macchine, sentire il rumore del suo corpo che cadeva a terra.
Sentire la consistenza della carne che cedeva sotto il coltello.
La sua anima era spezzata. Damiano cercava di fare di tutto pur di tirarla su, ma Altea fissava il vuoto, non mangiava, non beveva. Il suo corpo diventava sempre più debole, le guance incavate, le occhiaie viola.
Luigi si occupava delle galline, senza mai chiederle di uscire. Ci aveva provato solo una volta, poi, da un piccolo spiraglio della porta le aveva sussurrato:
«Me ne occupo io. Stai tranquilla. Penserò io a tutto quanto.»
Altea non sapeva bene a cosa si riferisse, ma quando lo aveva visto raccogliere le uova, dare da mangiare alle galline e occuparsi del suo orto...
Non bussava mai. Faceva il lavoro che avrebbe dovuto fare lei e se ne andava, gettando sempre uno sguardo alla finestra prima di entrare in macchina.
Giuliana era tornata a casa sana e salva e dai racconti di Matilde, sembrava non ricordare niente di quella giornata. Per tutti quanti era semplicemente andata a lavorare.
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Quando cala il buio
FantasyItalia, 1960. Altea è una ragazza di ventun anni che vive in un piccolo paesino di campagna, dove la cosa più emozionante che possa succedere durante tutto l'anno è la festa di fine estate, quando ci si riunisce in piazza a mangiare pizzette e ciamb...