«Avevo due figli» stava raccontando. «Un maschio e una femmina.»
«Come si chiamavano?»
Un sorriso amaro comparve sul suo volto, che invece di addolcire i suoi lineamenti li rese più severi.
«Ora che ci penso... sono decenni che non pronuncio i loro nomi.»
Altea aveva così tante domande da fargli su come e dove aveva passato tutti questi anni, ma non voleva interromperlo.
«Alice e Francesco.»
Li pronunciò con amore, ma anche con un certo dolore.
«Un genitore non dovrebbe mai veder seppellire i propri figli» sussurrò con tono grave. «Non sono potuto andare nemmeno al funerale perché era giorno. Sono potuto andare sulle loro tombe solo la notte.»
Non era più lì con lei, mentre le raccontava quelle cose. Era lontano. Era tornato lì.
«I miei figli sono morti anziani. Hanno vissuto una bella vita, lunga. Ma quando se ne sono andati e io ero lì a guardare le loro lapidi, mentre loro hanno guardato sempre e solo la lapide di una bara vuota...»
Altea avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva cosa, così preferì tacere. In fondo a volte le persone hanno solo bisogno di essere ascoltate.
«Quando mia moglie e i miei figli sono morti non avevo più motivo di rimanere lì. C'erano i miei nipoti, ma non potevo di certo palesarmi a casa loro. Così ho iniziato a viaggiare per il mondo. Con tanto tempo a disposizione, cos'altro si può fare?» chiese con cinismo. «Ho conosciuto tanti popoli, visto tante culture diverse. In realtà non ero intenzionato a rimanere qui a lungo. Ero tornato in Italia solo per fare visita ai miei figli, alla mia famiglia. Mi sono dilungato un po', ho girato.»
La guardò negli occhi. Era tornato lì con lei.
«Poi ho visto te. Stavi camminando tutta sola, di notte, sulla strada. Venivi dalla città.»
«Forse ero andata a lavorare dalla famiglia Marconi.»
I suoi occhi non si staccavano dai suoi, come fossero ancorati. La guardava in un certo modo... con affetto, avrebbe osato pensare.
«Ti ho osservata per un po'» riprese. «Quando mi sono accorto che eri sola è stato un po' come rivedere me stesso. Sentivo freddo quando ti guardavo. Non avevi nessuno per cui tornare a casa, solo te stessa. E le galline» aggiunse sorridendo. «La vita non è stata buona con te, ma tu sei gentile, onesta, non ti pieghi mai, non ti piangi mai addosso. Non ti vergogni di avere le mani spaccate o i vestiti sgualciti. Fai da mangiare alle persone. Ti prendi cura di loro, in qualche modo.»
«Ma mi faccio pagare.»
«Questo ti rende meno degna della stima delle persone?»
«No, ma non mi rende una santa. Se volevo esserlo avrei fatto della beneficienza.»
«Non hai i soldi per fare della beneficienza. Dedicarti a cucinare per altre persone dopo giornate intere di lavoro fa di te una bella persona.»
Altea gli sorrise, imbarazzata.
«Ma quindi... suppongo che tu nel corso degli anni sia stato con diverse donne» disse, ripensando alla frase precedente.
C'erano delle lunghe pause di silenzio nelle loro conversazioni, come se comunicassero non solo con le parole, ma con un linguaggio segreto, nascosto, riservato solo ai loro occhi.
«Le donne che ho amato veramente dopo mia moglie sono molto poche. Ma sono stato con tante, sì.»
«E che tipo di vita hai condiviso con loro se di giorno non ci sei?»
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Quando cala il buio
FantasyItalia, 1960. Altea è una ragazza di ventun anni che vive in un piccolo paesino di campagna, dove la cosa più emozionante che possa succedere durante tutto l'anno è la festa di fine estate, quando ci si riunisce in piazza a mangiare pizzette e ciamb...