Capitolo 12

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Quando si svegliò era sul suo letto. L'odore di urina impregnava l'aria e i suoi vestiti. Si guardava intorno, stordita. Lui era seduto a terra, davanti al letto, con la schiena poggiata alla parete, le gambe piegate e le braccia poggiate sulle ginocchia.

Tra le mani teneva un vecchio libro di seconda mano, uno di quelli che i suoi genitori le rimediavano di tanto in tanto, che aveva letto e riletto. Lo sfogliava svogliatamente.

Si tirò su a sedere. La testa le girava vertiginosamente, come fosse ubriaca. Chiuse gli occhi, aspettando che quella sensazione spiacevole passasse.

Era ancora notte e il temporale imperversava fuori. Sentiva lo scoppiettio della legna nel fuoco. Sicuramente ne aveva aggiunta altra mentre lei era svenuta.

Provava un enorme senso di imbarazzo per il fatto che si fosse fatta la pipì addosso. Valutò di scendere dal letto e correre verso la porta e scappare. Sarebbe andata da Matilde, poi alla polizia.

La porta della camera era proprio alla sua destra, lui era lontano, ma forse non abbastanza. Ripensava al modo in cui aveva spostato il vecchio e pesante tavolo in legno che aveva in cucina. Era forte. Gli sarebbe bastato un pugno ben assestato per ucciderla. Si diede della codarda per non aver avuto il coraggio di accoltellarlo, o almeno ferirlo. Era una vigliacca. Una stupida vigliacca che si era pisciata sotto.

«Non arriveresti nemmeno alla cucina» disse continuando a sfogliare il libro.

Era in trappola. Ma cosa voleva da lei? Se voleva ucciderla o stuprarla, o magari entrambi, era meglio che lo facesse subito perché non ne poteva più di avere paura, di sentire le mani tremare e il cuore martellarle il petto.

Indossava dei jeans. Vecchi. Lei non poteva permettersi quel tipo di abbigliamento. Forse era un figlio di papà, troppo ricco per potersi accontentare di un qualsiasi passatempo noioso tipo uscire con gli amici, giocare a pallone, costruirsi una vita. Magari si drogava. Ne aveva visti di ragazzi come lui, buttati per strada, emaciati, soprattutto in città.

«Vuoi uccidermi?»

La sua voce uscì spezzata.

Alzò gli occhi su di lei, poi scosse la testa.

«Vuoi... abusare di me?»

«No» rispose, tornando a sfogliare il libro.

Era chiaro che non lo stava leggendo. Stava giocando con lei. Ancora.

«Ti è piaciuto il cioccolato?»

Altea rivolse istintivamente lo sguardo verso la cucina, poi tornò a guardare lui, che era in attesa di una risposta. Gli occhi neri puntati nei suoi.

«Da quanto tempo mi osservi?»

«Da qualche giorno prima di quella festa.»

Quindi conosceva bene la sua routine. Dove andava, le sue amiche...

«Hai ucciso Luciano?»

Chiuse il libro di bottò e si alzò da terra. Camminò verso di lei e si lasciò cadere al suo fianco. Troppo vicino. Il letto sobbalzò. Istintivamente Altea si allontanò di qualche centimetro e abbassò lo sguardo per rialzarlo subito dopo.

«Tu devi farti una doccia. Puzzi.»

Ingoiò il boccone amaro dell'umiliazione, e ripeté:

«Hai ucciso Luciano?»

Per un istante restò immobile. Un'immobilità spaventosa, come fosse congelato. Le fece venire i brividi.

«Perché te ne preoccupi?»

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora