Capitolo 35

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Un paio di occhi scuri la fissavano nella penombra della stanza.

Senza esitare, Altea provò lo stesso a conficcare il paletto nel petto di Dante, ricacciando dentro il terrore, il grido che premeva contro le sue labbra... anche se sapeva che non sarebbe servito a niente.

Infatti il paletto andò a rimbalzare contro il materasso.

Il corpo non era più lì.

Dante era ora in piedi accanto al corpo di Luciano, una mano poggiata sul bordo della bara.

«Peccato. Poteva essere un ottimo vampiro» sussurrò tra sé e sé. Nessuna traccia di dispiacere. Nessuna traccia di dolore, rammarico, senso di colpa, rabbia.

Guardava quel corpo come non fosse altro che un ammasso di carne senza troppa importanza. Quando il suo sguardo si puntò negli occhi di Altea c'era qualcosa di terribilmente maligno al suo interno.

Sarebbe morta da sola. Al buio. Nessuno avrebbe mai saputo dov'era.

Il paletto le scivolò dalle mani. Queste erano ancora sporche di sangue, che con il passare dei minuti diventava sempre più scuro e appiccicoso su di esse. Le candele sembravano tremare allo stesso modo delle sue mani, del suo labbro. Ma le lacrime non scorrevano più.

Ormai aveva capito.

Era finita.

Nessun piagnisteo, nessun grido d'aiuto o di terrore avrebbe potuto evitare che la sua vita si spegnesse sotto quei sotterranei. Chi l'avrebbe mai detto? Aveva sempre pensato che sarebbe morta da vecchia, nel suo letto, accanto a un uomo che l'avrebbe amata e sostenuta, che sarebbe stato la sua spalla. Magari avrebbe avuto anche dei figli e chissà, forse dei nipoti.

Sarebbe invecchiata insieme alla sue amiche... Loro avevano rischiato la morte. A causa sua. A causa dei suoi sentimenti per Damiano.

Damiano.

Perché non veniva da lei?

Ma come poteva? Come poteva sapere dove fosse?

«Cosa hai provato?»

Altea sollevò il viso. Si sedette sul bordo del letto con arrendevolezza, le mani sporche posate in grembo.

Qualcosa le premeva contro il polso destro.

«Cosa hai provato quando lo hai ucciso?» le chiese Dante. «Quando hai tagliato il suo collo con quel coltello. L'odore del sangue. Il paletto che trafigge la carne. Il rumore delle ossa che si spezzano.»

La voce di Altea era rotta, quando disse: «Eri sveglio.»

Sul volto di Dante comparve un sorriso maligno tanto quanto il suo sguardo.

«Oh sì. E mi sono goduto la scena fino all'ultimo secondo.»

Altea strinse le mani a pugno. «Ma tu... non era ancora calato il sole.»

«Tesoro» disse avvicinandosi e sedendosi accanto a lei. Le spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Altea non si muoveva ma non cercava di reprimere il fastidio e i brividi che le facevano alzare i peli delle braccia. «Ho più di quattrocento anni» disse, come se quello spiegasse tutto. «Cosa hai provato?» insistette.

Altea lasciò uscire un breve gemito dalla bocca. Chiuse gli occhi. E quando lo fece le sembrava che lui non fosse seduto lì accanto a lei. Perché non respirava. Non si muoveva. Le sue palpebre non sbattevano. Il suo corpo non produceva nessun rumore rispetto a quello di un umano. E nonostante fosse rischioso, avrebbe preferito tenere gli occhi chiusi per sempre pur di non sentire quella presenza accanto a sé.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora