Capitolo 29

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Nello stesso esatto momento nel quale Damiano scomparve, Altea afferrò un vecchio zaino che aveva nell'armadio e iniziò a pensare a cosa le sarebbe servito. Quasi le veniva da ridere mentre afferrava un paio di coltelli dal cassetto dalla cucina; uno grande, con il quale di solito tagliava la carne che le portava Matilde; l'altro più piccolo, comodo da nascondere nei pantaloni.

Scese al piano di sotto, dove teneva la legna. Prese quattro pali e affinò le punte con un vecchio coltello. Le ci volle più tempo di quanto avrebbe desiderato, il sudore le imperlava la fronte e le gocciava sul collo. Quando risalì al primo piano aveva quattro paletti approssimativamente appuntiti da mettere nello zaino.

Damiano le aveva detto che solo con un paletto nel cuore, tagliandogli la testa o dando fuoco al loro corpo si poteva uccidere un vampiro. Meglio ancora fare tutte e tre le cose perché la loro capacità di guarigione superava ogni immaginazione. Altea non sapeva cosa stava facendo, non sapeva se avrebbe mai trovato il coraggio di trafiggere un corpo con un pezzo di legno, tanto meno tagliargli la testa. A dire la verità, non sapeva nemmeno dove andare a cercare la dimora di Luciano e Dante. Ma aveva un piano, che probabilmente non l'avrebbe portata da nessuna parte, ma lo aveva.

L'aglio non sarebbe servito, né i crocifissi, a meno che non fosse totalmente credente, cosa che Altea non era. L'acqua santa poteva essere utile, ma non né aveva, quindi prese una corda e un paio di accendini, insieme a una bottiglia di alcol.

Corse in camera con la testa annebbiata, senza lasciar trasparire nessuna emozione se non uno strano ghigno che poteva sembrare di divertimento, ma che in realtà tradiva tutta la sua paura e il suo nervosismo.

Le ipotesi erano due: fare un buco nell'acqua; morire.

Ma doveva farlo. Lei doveva, non poteva lasciare che qualcun'altro ci pensasse al posto suo.

Tirò fuori dall'armadio un vecchio paio di pantaloni del padre, beige. Li infilò e se li strinse in vita con una cinta, poi fece quattro risvolti alle caviglie e li infilò dentro agli stivali per muoversi comodamente e non inciampare nel tessuto e nei suoi stessi piedi. Sopra mise una canottiera e una camicia di flanella a maniche lunghe, sempre del papà. Infilò la camicia a quadri dentro ai pantaloni e fece un paio di risvolti alle maniche.

Probabilmente sarebbe stata scambiata per una mendicante in città, giudicata dall'occhio delle famiglie più abbienti che passeggiavano, andavano a lavoro o a fare compere, ma non le interessava. Doveva essere comoda, avere un abbigliamento che le permettesse di muoversi e correre.

Cos'altro le serviva per affrontare un vampiro? Fece un elenco mentale: coltelli, paletti, corda, accendino... stupidità.

Si legò i capelli in una coda di cavallo e indossò il suo giubbotto e una sciarpa. Zaino in spalla, uscì nell'aria fredda invernale e si maledì per aver perso tutto quel tempo, ma i paletti erano essenziali.

Salì in sella alla sua bici, sicura di quale sarebbe stata la sua prima tappa.

Pedalò più in fretta che poteva mentre faceva il conto alla rovescia di quante ore le rimanevano al tramonto.

«Sono le nove e trenta, il sole tramonta alle diciotto» sospirò. «Otto ore e mezza, Altea. Otto ore e mezza.»

Mentre andava in città si chiese se non fosse che proprio quella notte Luciano e Dante avevano mietuto la loro prima vittima. Magari nessuno se ne era ancora accorto, e quando sarebbero andati a casa sua per avvertirla, lei non ci sarebbe stata.

Scosse la testa scacciando quel pensiero.

Non è morto nessuno. Non è morto nessuno.

Quando arrivò sotto a quel palazzo fin troppo familiare, il cuore sembrava esserle caduto dentro allo stomaco. Sentiva il naso gelato mentre guardava verso l'alto.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora