Quando Altea fece per alzarsi, Damiano le poggiò una mano sulle spalle e la spinse a sedere.
Si alzò di nuovo, scansando la mano di Damiano e beccandosi un'occhiataccia.
«È casa mia. Apro io la porta.»
Gli occhi di Damiano brillavano come un fiocco di neve al sole, i bordi delle iridi rilucevano di un azzurro abbagliate, come se proprio dentro i suoi occhi fosse in corso un temporale con fulmini e saette.
Altea avanzò verso la porta e senza pensarci due volte, senza prendere un respiro o trattenere il fiato, aprì.
Il fiato le si strozzò in gola quando le sue aspettative sul volto che avrebbe visto dietro la sua porta furono spazzate vie.
Il Signor Marconi era in piedi dietro l'uscio, in un completo giacca e cravatta, camicia bianca inamidata. Mentre entrava dentro casa senza chiedere permesso, camminando a passo lento e arrogante nella direzione in cui si trovava Damiano, che aveva trovato anche il tempo di rimettersi la maglietta, Altea si ritrovò a osservare quell'uomo che, per la prima volta, le sembrava un completo estraneo. Non solo perché lo era effettivamente, in quanto aveva mentito sulla sua identità, ma perché era diverso. La sua postura, il suo sguardo, le sue movenze. Niente di tutto quello apparteneva al Signor Marconi per il quale lavorava.
Il Signor Marconi che aveva conosciuto lei, per quanto poco lo avesse visto, era un uomo stanco, impegnato, spalle leggermente incurvate in avanti, passo strascinato, occhio lucido, capelli sempre un po' disordinati. Aveva immaginato fosse a causa di quelle cuffie che usano i medici quando operano.
Quell'uomo invece aveva una postura eretta e rigida, passo sicuro, occhio spento, capelli pettinati all'indietro, sguardo arrogante. Non sapeva chi fosse. Per quanto la riguardava un estraneo era appena entrato in casa sua e lei non riusciva a sciogliersi e chiudere la porta. Sperava solo non si sarebbe fatta di nuovo la pipì sotto.
Solo di una cosa era convinta. Se era venuto lì, era per contrattare. Quello che la spaventava era il fatto che avrebbero contrattato sulla sua vita e su quella di altre persone.
«Quanto tempo, amico mio.»
Girava intorno a Damiano come uno squalo intorno alla sua preda. Dam era immobile, non lo seguiva nemmeno con lo sguardo, come se rimanendo fermo potesse captare meglio i suoi movimenti e parare un attacco, semmai fosse servito.
Solo allora Altea riuscì ad abbandonare il suo stato di freezing e chiudere la porta.
«Quanti anni sono passati? Trenta? Quaranta?» rise amaramente. Una risata forzata, frutto di un copione che aveva studiato e ripetuto per anni. «Quando puoi vivere per sempre si perde un po' la cognizione del tempo, non trovi?»
I suoi occhi saettavano da Damiano a lei, che non aveva il coraggio di raggiungerli al centro della stanza.
«Vi vedo... tesi.» Si voltò verso di lei. «Signorina Altea, venga. Noi siamo vecchi amici. Non mi invita a sedere?»
Il suo tono si era indurito mano a mano che le parole venivano fuori. La domanda in realtà assomigliava più a una minaccia.
«Certo» squittì Altea.
Il Signor Marconi sorrise e si andò a sedere dalla parte opposta del tavolo rispetto a dove si trovavano loro.
Altea raggiunse Damiano che all'improvviso sembrava più grosso, più muscoloso, gli occhi ancora bianchi.
Il Signor Marconi accavallò una gamba e congiunse le mani sopra il tavolo.
«Cioccolata calda» disse guardando la tazza davanti a lui. «Ti diletti a fare la casalinga ora?»
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Quando cala il buio
FantasyItalia, 1960. Altea è una ragazza di ventun anni che vive in un piccolo paesino di campagna, dove la cosa più emozionante che possa succedere durante tutto l'anno è la festa di fine estate, quando ci si riunisce in piazza a mangiare pizzette e ciamb...