Capitolo 28

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L'alba era imminente. Damiano era rimasto seduto accanto a lei a terra, incapace di consolarla, di tranquillizzarla.

Non aveva aperto bocca da quando Dante aveva lasciato la sua casa. Non poteva far altro che pensare. Pensare a quale sarebbe stata la sua mossa, il suo piano per salvare i suoi amici, per impedire che Luciano, un burattino nelle mani di un vendicatore, le portasse via le uniche cose care che le erano rimaste nella vita.

Solo dopo un tempo che le sembrava infinito, chiese:

«Tu puoi uccidere di nuovo Luciano?»

Lo guardò.

«Posso farlo, ma...»

«Ma?» chiese Altea, con tono glaciale.

Stava cercando di chiudere tutte le emozioni che provava nella sua scatola segreta, quella che tirava fuori quando pensava di non riuscire a reggere, quando credeva di non farcela. Allora apriva la scatola, ci metteva dentro la tristezza, il dolore, la malinconia.

Quella volta lasciò fuori dalla scatola solo la rabbia, che usava come carburante per pensare. Per progettare.

«Ma i vampiri giovani sono più forti di quelli antichi. Non è sempre così, ma la maggior parte delle volte è...»

«Questo me lo hai già spiegato» sbottò.

Damiano fece per prenderle la mano, ma lei la scansò.

«Non gli permetterò di fargli del male, Altea. Non gli permetterò di farti del male.»

«E come farai?» chiese, sinceramente interessata. «Puoi essere in più posti contemporaneamente? Perché i miei amici non vivono tutti insieme. Se tu sei da Matilde, magari Luciano è da Rosalina, o Dante da Giuliana. Come facciamo a salvarli tutti?»

«Coprirò più terreno possibile. Sono veloce, più veloce di Luciano.»

Altea scosse la testa, mentre guardava il pavimento. «Non basta.»

«Gli darò la caccia, Altea. Lo ucciderò prima che possa avvicinarsi. Seguirò il suo odore.»

«Non basta.»

L'aria nella stanza si fece improvvisamente densa. Il camino si era spento, ma una flebile luce faceva capolino sulla linea dell'orizzonte.

Damiano si alzò in piedi e prendendola per le braccia la tirò su di peso, costringendola a guardarlo negli occhi.

«Risolveremo la situazione.»

Altea lo guardava in silenzio. Era sola. O forse no, ma si sentiva sola. Non perché non credeva che Damiano potesse aiutarla. Anzi. Ma non sarebbe stato abbastanza. E lei non poteva rimanere con le mani in mano, inerme. Aveva già perso i suoi genitori senza che potesse fare niente, non avrebbe perso anche il resto di quella che considerava la sua nuova famiglia. Doveva agire prima.

«Altea.»

Le lacrime le riempivano gli occhi. Per la paura. Paura di non farcela. Paura di morire. Paura di quello che la sua mente aveva partorito, di sentirsi stupida, sola, ingenua.

La sua vita non doveva andare in quel modo.

Perché?

Dante era stato chiaro. Li avrebbe presi uno alla volta. Uno al giorno, o forse uno alla settimana, mentre lei sarebbe rimasta a piangerli, inerme, sempre più sola al mondo, con l'anima in pezzi.

Non ce l'aveva con Damiano. Era entrato nella sua vita in un momento dove la solitudine la stava schiacciando. Ogni giorno sembrava camminare verso un futuro sempre più buio e solitario, sola con il suo lavoro, portando avanti il progetto dei suoi genitori, senza chiedersi cosa volesse farne della sua vita. Sempre più algida.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora