Capitolo 26

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Quando si risvegliò era nel suo letto, la coperta tirata fin sotto al mento. Aprì gli occhi quel tanto che bastava per vedere un'ombra muoversi in cucina.

Il tepore della coperta di lana le fece scordare tutte le ultime ore, e decise di crogiolarsi in quel senso di calore, nel suo bozzolo.

La porta della camera era rimasta aperta, così poteva vedere un ragazzo bello, alto, possente, muoversi con estrema calma ed eleganza mentre cercava di preparare...

Sentiva odore di qualcosa di dolce.

La sua schiena, sotto l'inadeguata maglietta a maniche corte nera, era avvolta dalla stoffa come una seconda pelle all'altezza delle spalle possenti. I muscoli disegnavano delle onde sul cotone, che si muovevano in base ai movimenti delle sue braccia.

Lo vide inchinarsi davanti al camino per mettere qualche altro ciocco sulla brace ardente. Per un attimo immaginò la sua vita così; insieme, una casa modesta, lui che si prendeva cura di lei e viceversa. Un tè caldo davanti al camino e d'estate a mangiare il gelato all'ombra di un prugno.

Peccato che, anche se non fosse morta, tutto quello non sarebbe mai stato possibile.

Si mise a sedere sul bordo del letto e anche se lui non si era girato, sapeva benissimo che l'aveva sentita.

I piedi erano nudi, spogli dei calzini pieni di terra che aveva tenuto a inizio serata e che le ricordavano l'avventura che un certo Mister Ansia dei suoi stivali le aveva impedito di vivere fino in fondo.

Andò in cucina e si sedette a tavola. Poggiò il mento sul gomito, godendosi la vista di quella specie di Dio greco della notte che aveva deciso di sconvolgere la vita proprio a lei.

Quel pensiero le fece rimontare l'ansia e accelerare i battiti del cuore, ma per quella notte, solo per quella notte, decise che avrebbe ingoiato il boccone amaro, facendo finta che andasse tutto bene, che la sua vita era quella di sempre e che quel bel ragazzo davanti a lei non fosse un vampiro.

Chi l'avrebbe mai detto che la sua vita sarebbe andata in quel modo. Che si sarebbe ritrovata sola, che avrebbe scoperto l'esistenza di creature di cui aveva letto solo nei libri e che proprio una di queste le avrebbe regalato un panetto della sua cioccolata preferita... e avrebbe ucciso un ragazzo che ora era alleato con un assassino che molto probabilmente l'avrebbe uccisa.

«A cosa pensi?»

Stava girando qualcosa dentro un pentolino. Quando alzò la frusta un liquido denso e nero prese a gocciolare. Cioccolata calda.

Pensava a tante cose. Troppe. Ma ce n'era una in particolare.

«Sinceramente?»

«Mhm.»

Altea si morse un labbro, tesa come una corda di violino, sentendosi sfacciata e incredibilmente disinibita.

«Vorrei che ti togliessi la maglietta.»

Per un attimo smise di girare la cioccolata. Quel tanto che bastava per togliere la maglietta e lasciarla cadere a terra. Poi riprese a mischiare quel liquido denso e aromatico.

Altea disegnò con lo sguardo ogni curva del suo bacino, delle scapole, delle spalle, del collo. Si chiese se fosse una dote naturale, se si allenasse, se facesse parte del suo essere vampiro, ma sinceramente poco le importava.

In casa sua non c'era mai stato un uomo mezzo nudo. Se fossero venuti a saperlo al paese, la sua reputazione sarebbe andata a puttane. Era altamente sconsiderato stare da sole con un uomo in casa, figuriamoci con uno come Damiano, per di più senza maglietta. Per fortuna era notte fonda, lei era sola e nessuno sapeva nemmeno dell'esistenza di quell'uomo.

Questo la sollevava e la angustiava allo stesso tempo. La sollevava perché sapeva di poter fare qualunque cosa dentro casa sua e nessuno sarebbe venuto a saperlo. L'angustiava perché nessuno avrebbe mai saputo che c'era un uomo nella sua vita per il quale, nonostante tutto, aveva iniziato a provare qualcosa.

Nei giorni che era mancato si era ripetuta spesso che doveva lasciar perdere, che sarebbe stato meglio se non fosse tornato, così tutto si sarebbe rimesso a posto. Quando lo aveva rivisto, per un attimo aveva pensato che le aveva rovinato la vita, che era tutto sbagliato, che i loro mondi non si sarebbero mai dovuti incontrare, ma tutto questo andava in netto contrasto con quello che sentiva nelle viscere.

Damiano versò la cioccolata in una tazza e gliela porse facendola scivolare lentamente sul tavolo. Altea non smise mai di guardare il suo corpo, nemmeno quando si appoggiò con il sedere al pensile, puntellandosi col dorso delle mani su di esso e aprendo un sipario sul suo ventre e il suo petto.

Era diventata rossa, le gote avvampavano e avrebbe desiderato con tutta sé stessa distogliere lo sguardo, bere la cioccolata e fare finta che non fosse poi così bello, ma tutto di quell'uomo trasudava virilità, anche il sorriso sornione che gli formava una ruga dannatamente sensuale sul lato sinistro della bocca.

Sapeva che sarebbe potuto restare in quella posizione anche per tutta la sera, assumendo quell'immobilità che lo faceva assomigliare ancora di più a una vera e propria scultura di marmo.

Si sentiva cosi scandalosa, nonostante non stesse facendo altro che guardare. I suoi genitori, sua mamma in particolare, non era mai stata una di quelle mamma apprensive che fa il discorsetto alla figlia. L'unica cosa che le aveva sempre detto era di fare quello che si sentiva nel momento in cui se lo sentiva, ma di usare la testa.

«Io mi fido di te. So che farai la scelta giusta e non posso dirti con chi o quando farlo. La prima volta potrebbe non essere con l'uomo che diventerà tuo marito, e allora? Va bene. La passione, va bene e fa bene. Ma non lasciare che la passione ti incastri in qualcosa dal quale è difficile tornare indietro. Vivi la tua vita, prenditi tempo.»

Ovviamente, quando parlava del fatto sarebbe stato difficile tornare indietro si riferiva alla possibilità di rimanere incinta. Ma con Damiano questo non sarebbe potuto succedere, visto che i vampiri non potevano procreare.

Solo il fatto di pensare che avrebbe potuto fare l'amore con Damiano la fece diventare rossa. Rossa, perché per un attimo se lo immaginò sopra di lei, puntellato sui gomiti, che si muoveva fra le sue gambe, il suo petto premuto contro quello di lei.

Distolse lo sguardo.

Non sapeva perché, ma aveva come l'impressione che tutto quello a cui stava pensando, lui fosse riuscito a vederlo.

Afferrò la tazza e ci nascose la faccia dentro, assumendo una posizione un po' ingobbita pur di nascondere la vergogna che stava provando, sorseggiando quel liquido scuro che era dannatamente delizioso.

Sulla sua schiena corse un brivido quando sentì le sue mani scostarle i capelli di lato. Quando posò le labbra sull'incavo tra il collo e le spalle, le gambe si tesero e si incrociarono sotto al tavolo, stringendosi fra di loro come per occultare il peso che sentiva in mezzo ad esse.

Era così fuori luogo in quel momento.

Lei doveva avvertire i suoi amici. Dovevano buttare giù un piano. Dovevano...

Il vuoto che lasciarono le sue labbra quando si allontanarono dalla sua pelle la fecero quasi sobbalzare. Quando si voltò vide Damiano teso, all'erta, gli occhi di ghiaccio.

Poi qualcuno bussò alla porta.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora