Capitolo 51

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Nella scuola abbandonata si respirava aria di morte e di qualcosa di putrido che Altea non riusciva a definire. Erano circa tre piani, la maggior parte delle finestre erano rotte e questo permetteva a un'aria particolarmente calda e appiccicosa di entrare. Le aule erano spoglie, c'erano alcune sedie rovesciate a terra, fogli di carta sparsi qui e là e qualche cartina politica strappata ancora appesa alle pareti.

Altea non sapeva in quale aula di quale corridoio si trovasse Dante, ma il suo istinto le diceva di andare al secondo piano, un punto perfetto per attaccarli sia da sopra che da sotto.

Imboccò il corridoio di destra. Una lunga fila di porte si susseguivano su entrambi i lati fino alla fine, dove una finestra ancora intatta impediva il ricircolo d'aria.

Un rumore di battere d'ali e qualcosa che le soffiò i capelli davanti al viso per poco non la fece urlare. Un corvo andò a posarsi sopra una sedia buttata in corridoio e si fermò a guardarla con la testa che scattava a destra e sinistra, come volesse mangiarla. Altea cercò di ignorarlo e proseguì.

«Sono qui, Altea.»

La voce di Dante corse nei corridoi scivolando sulle pareti come serpenti, attorcigliandosi attorno alle sue caviglie, lungo le sue gambe e il suo collo, per poi scivolare via, lasciandola senza fiato. Si chiese se anche i suoi compagni l'avessero sentito.

Arrivò davanti a una porta chiusa. Allungò la mano verso la maniglia, vi poggiò sopra i polpastrelli e questa prese a muoversi e urlare, facendola indietreggiare e sbattere contro un muro invisibile. Probabilmente Luigi.

Prima di entrare nella scuola, Altea, senza dire niente, aveva tirato fuori un coltello e si era graffiata un braccio e un fianco. La fitta di dolore era stata atroce ma necessaria. Così avrebbe giustificato l'odore di sangue senza smascherare la presenza di Luigi. La scelta di farlo nei pressi della scuola e non prima era stata ben pensata, in modo tale che i suoi compagni non potessero impedirglielo. Le era sembrato di sentire il disappunto di Luigi e la paura di Matilde scorrerle sulla lingua.

Con un gesto secco, afferrò la maniglia con decisione e l'abbassò, ritrovandosi in un laboratorio di musica. Dante era al centro di quel che restava del grande palco che si ergeva alla fine della stanza. Damiano era seduto accanto a lui, legato a una sedia con delle catene. Nessuna traccia di Antonio e della veela.

A terra c'erano foglie entrate dalle finestre rotte, fogli scarabocchiati di chissà quanti anni fa, alcuni libri e qualche sedia malandata; non poteva nemmeno immaginare che slalom stessero facendo gli altri cacciatori per non svelare la loro presenza.

«Questo posto ti si addice.»

Dante fece uno sguardo tagliente. «Avvicinati, Altea.»

Altea lo fece, anche perché la misera luce gialla di un lampione malandato che veniva da fuori non era abbastanza per illuminare l'intero laboratorio, lasciando oscurato il fondo della sala dove si trovavano Dante e Damiano.

Altea ebbe una fitta al cuore quando vide Damiano in quelle condizioni, ma ingoiò il boccone amaro e concentrò la sua attenzione su altro.

«Dov'è Antonio?»

A mano a mano che si avvicinava uno strano odore di carne putrida le salì alle narici, facendole venire un conato di vomito.

«È vivo. Avvicinati ancora. Giuro che non ti toccherò.»

L'immobilità e il silenzio di Damiano acquisirono un senso solo quando Altea fu abbastanza vicina da vedere la sua faccia. Le labbra erano state cucite tra di loro con quelli che doveva essere fili d'argento. I punti in cui il filo era stato inserito stavano marcendo, i contorni erano neri e rossi.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora