Capitolo 22

2.4K 108 4
                                    

«Lo hai trasformato?»

«Non io! Qualcuno.»

«Ci sono altri vampiri in zona?»

«Te l'ho detto che ce ne sono in città» rispose, con sguardo inespressivo.

Da quando aveva appreso quella notizia Damiano era rimasto fermo, immobile in un modo innaturale, senza sbattere le palpebre, senza che il petto gli si muovesse. Sembrava essersi spento come una macchina.

«Questo cosa significa per noi?» Solo allora Damiano rivolse lo sguardo verso di lei. «Sono abituata ai tuoi silenzi, ma in questa occasione non è per niente opportuno» sbottò Altea.

Una serie infinita di domande le frullavano nella testa. Era pericoloso? Si ricordava della sua vita precedente? Di lei? Poteva in qualche modo risalire a Damiano e di conseguenza a lei? Possedeva le stesse capacità di Damiano?

«DAMIANO, RISPONDIMI!»

Si avvicinò a lei e le posò le mani sulle spalle, in una stretta delicata ma decisa.

«Devo andare.»

Due parole. Solo due parole.

«Andare? Andare dove?» chiese, stordita.

«Devo capire cosa è successo. E tenerlo lontano da te.»

«Da me? Perché?»

Credeva che se avesse potuto avrebbe sospirato. «Perché credo che ci siamo infilati in un bel guaio.»

Altea si accigliò. «Ci siamo? Perché parli al plurale? Io non ho fatto niente. Al massimo sei tu che sei in qualche guaio. Se proprio Luciano deve dare la caccia a qualcuno, quel qualcuno sei tu che lo hai ucciso. Io cosa c'entro?»

Il suo sguardo tradì un non so cosa di colpevolezza.

«Prima di ucciderlo...»

Altea alzò una mano e lo interruppe. «Non dirmelo.»

«Sono stato uno stupido. Ero accecato dall'odio e... dalla fame.»

«Ti prego, dimmi che non hai fatto il mio nome.»

Damiano non rispose, ma non c'era bisogno che aprisse bocca per capire che ci aveva azzeccato.

Altea si allontanò da lui indignata e spaventata. Il suo corpo iniziò a tremare, così prese a strofinarsi le braccia con i palmi delle mani per scacciare un freddo improvviso che sembrava gelarle le ossa. Camminava avanti e indietro. Non era al sicuro. Non era più al sicuro dentro casa sua. Quella era la sua casa, la casa dei suoi genitori. Era l'unico posto nel quale sapeva di essere al sicuro, protetta. Era il suo nido. Almeno fino all'arrivo di Damiano.

«Devo andare.»

Altea rise con scherno. «Mi hai messa in una situazione di merda, Dam. Veramente di merda. Se quello viene a cercarmi e sono da sola...»

«Per questo devo andare. Devo trovarlo e capire chi possa averlo trasformato.»

«Certo! Mentre io resto da sola qui, come una stronza, mentre tu stai in giro a cercarlo. E se mentre lo cerchi lui viene da me e tu non ci sei?»

«Lo sentirei se si avvicinasse.»

«Quindi se tu sei in città e lui qui, tu lo sentiresti.»

Rispose, anche se non era una domanda. «No, ma...»

Altea lo schernì con un cenno della mano. «Lascia perdere.»

Damiano corrugò la fronte. «In che senso?»

«Nel senso che me ne tiro fuori da sola. È tutta la vita che... fatico e... aspetto. Aspetto prima di fare un passo verso qualcuno, prima di far entrare qualcuno nella mia vita. Poi arrivi tu, ci entri senza il mio permesso, la stravolgi e ora, molto probabilmente, non posso più nemmeno dormire tranquilla nel mio letto.»

«Non sono stato io a trasformarlo.»

«Però sei stato tu a seppellirlo.»

Gli occhi di Damiano sembrarono diventare mano mano opachi. Altea riuscì a vedere tutta la loro metamorfosi da nero ad azzurro ghiaccio. Rimase estasiata dalla loro bellezza al tal punto da non provare nemmeno paura, nonostante sapesse benissimo il significato di quel colore.

Rabbia, fame, pericolo.

Rimasero in silenzio per alcuni secondi, poi Damiano ruppe il silenzio.

«Non puoi ritenermi responsabile di questo. Sai che non ti metterei mai in pericolo.»

«Eppure eccoci qui!»

Digrignò i denti, lasciando intravedere la punta dei canini. Di solito era molto bravo a nasconderli. «Dio, sei così...»

«Cosa?»

Mentre sembrava cercare la parola più adatta e meno offensiva che conosceva, Damiano si passò le mani in mezzo ai capelli in un gesto di esasperazione.

«Sei difficile» disse alla fine.

«Difficile» gli fece eco, Altea.

«Sì! Ti sto dicendo che ci penso io, che mi dispiace e tu non fai altro che incolparmi, come se non fossi abbastanza preoccupato.»

«Oh, scusami tanto se sei turbato, signor immortale-nessuno-può-uccidermi. Tu sì che hai motivo di essere preoccupato» lo schernì.

«Preoccupato per te. E poi tutti possono morire. Lo sai, te l'ho spiegato.»

Altea si lasciò cadere sulla sedia, strofinandosi i palmi sugli occhi. Sospirò.

«Ma perché qualcuno dovrebbe voler trasformare Luciano? È questo che non capisco» disse poi, tra sé e sé.

Rendendosi conto che non sentiva arrivare nessuna risposta, Altea alzò gli occhi verso il suo ospite dagli occhi di ghiaccio. Era di nuovo immobile.

«Cosa non mi stai dicendo?» chiese subito. Ormai aveva capito che lui sapeva altro, che stava pensando ad altro. Qualcosa gli rimuginava in testa.

Era strano. Mentre lei quando era nervosa iniziava a camminare avanti e indietro, lui diventava di pietra. Una cosa così innaturale. Almeno per gli umani.

«Dam!»

Si sedette davanti e lei. Poi si rialzò.

«Devo andare.»

Nemmeno il tempo di realizzare, che lui era sparito.

L'aveva lasciata sola.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora