Capitolo 42

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D'istinto, Altea si coprì il seno con le braccia e strinse le gambe tra di loro, sotto lo sguardo pieno di disappunto di Damiano, che invece sembrava volerla guardare il più a lungo possibile, come se solo con gli occhi potesse assaggiarla, pregustarla.

Le afferrò i polsi e le scostò le mani da sopra il seno con dolcezza e fermezza, poi si inginocchio davanti al letto e iniziò a baciarle una caviglia, infilando la mano in mezzo a entrambe e spostandola in alto mano a mano che salivano anche i suoi baci, seguendo le forme della gamba. Quando arrivò alle ginocchia, vi posò entrambe le mani sopra e, senza guardarlo in faccia perché non ne aveva il coraggio, troppo intimidita dalla sua nudità, le sembrò di sentire come la sua voce in lontananza.

«Vuoi allargare le gambe per me, Altea?»

Lei annuì, senza sapere se l'avesse vista, ma le sue gambe non si aprirono. Allora le mani di Damiano scesero fino alle anche e con un gesto secco la attirò contrò il bordo del letto, le gambe completamente oltre di esso, anche se ancora chiuse perché i talloni erano poggiati sulla struttura, facendosi forza per tenere le ginocchia serrate.

Damiano ricominciò a baciarla di nuovo, le caviglie, i polpacci, mentre le mani disegnavano morbide linee sulla sua pelle, scivolando dalle caviglie, alle cosce, fino sulla pancia, e così ancora e ancora, finché senza che se ne accorgesse, i talloni scivolarono a terra e lei si aprì per lui come se non avesse potuto fare altro.

Dal momento che non sentiva più la sua bocca su di lei, doveva essere fermo ad ammirarla, o così pensava. Incrociare i suoi occhi sarebbe stato troppo imbarazzante. Scontrarsi con tutto quel desiderio, quell'ardore che vi bruciava dentro... non sapeva come gestirlo, perché se anche lei si sentiva bruciare dentro e non desiderasse altro che lui, il suo corpo, le sue mani su di lei, l'ansia da prestazione, l'ansia di non essere in grado, tutto quel mix di emozioni e sensazioni la stava travolgendo.

Non sapeva come gestirle.

«Altea.»

La sua voce venne come dal fondo di una caverna. Profonda. Abissale. Fu come un richiamo per lei, e questa volta non poté impedirsi di alzare la testa.

I suoi occhi si scontrarono con due stelle bianche e azzurre, come il ghiaccio secco che brucia sulla pelle.

Come se avesse visto qualcosa negli occhi di lei, si alzò in piedi, e la tirò su insieme a lui. Le accarezzava i fianchi, i glutei, l'addome.

«Vuoi spogliarmi?»

Su quello non aveva dubbi e il sì arrivò con grande entusiasmo.

Per prima cosa gli sfilò la maglietta, mostrando così il suo petto ampio, gli addominali non troppo scolpiti, il pube che spariva in una v dentro ai pantaloni, seguita dalla linea di peli che scendeva da sotto l'ombelico. Gli accarezzò il petto, questa volta senza vergogna. Era così dannatamente bello.

Le sue mani scivolarono sulle spalle, sui bicipiti, sugli avambracci e le mani, fino a spingersi oltre di esse e posarsi sul primo bottone dei pantaloni neri. Infilò le dita della mano destra oltre il bordo del pantalone, seguendo quella v che sembrava indicarle la direzione, e quando lo fece vide i muscoli del suo addome contrarsi.

Erano quattro bottoni. Li slacciò uno dopo l'altro e, senza pensarci troppo, li sfilò insieme alle mutande, lasciandoli scivolare a terra per non doversi inginocchiare.

Lo prese in mano.

Altea non aveva mai visto un uomo nudo fino a quel momento. Non sapeva se ci fosse una qualche forma o misura standard per tutti, cosa fosse ritenuto piccolo e cosa grande. Ma il fatto che il suo pollice e il suo dito medio si sfiorassero a mala pena, stretti intorno al suo membro, non le faceva avere dubbi che fosse grosso.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora