Capitolo 39

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In realtà non iniziarono subito.

Altea doveva ancora andare a trovare Rosalina, e dopo essersi fatta un po' di forza e aver ricevuto il giusto incoraggiamento da parte di Luigi, era salita in sella alla sua bicicletta, riportata gentilmente a casa da Damiano, e si era diretta a casa della sua amica.

Quando l'aveva vista sulla sedia a rotelle le si era stretto il petto, ma aveva ricacciato indietro le lacrime e abbracciato l'amica.

A quanto sembrava, Rosalina sapeva che era andata in città a fare compere e che in un momento di distrazione, una macchina l'aveva investita. Niente più di questo.

Poco dopo era venuta anche Giuliana. Alla sua vista Altea era tornata sul chi vive, l'aveva osservata, controllata, lo sguardo, le movenze, le espressioni.

Era la sua amica. Non era più sotto l'influenza di Dante. Almeno per ora.

Giuliana non ricordava nulla di strano di quel giorno. Era stato semplicemente come tanti altri. Era andata a lavoro, aveva staccato ed era tornata a casa. Ovviamente Altea non le aveva chiesto nulla in merito, per non destare sospetti, ma il fatto che Giuliana non avesse accennato a quella giornata era abbastanza esaustivo.

Rosalina, come le aveva detto Matilde, aveva iniziato a fare riabilitazione e forse sarebbe tornata a camminare.

Quando era uscita da casa sua, Altea si era nascosta dietro un albero, a piangere, sentendosi indegna dell'affetto di quelle persone, pensando che era tutta colpa sua.

Una mano le strinse il polso e la tirò su con uno strattone.

Matilde, davanti a lei, la guardava con apprensione e... rabbia.

«Parla. Con. Me.» aveva scandito, parola per parola.

Altea tirò su col naso e si asciugò le lacrime con il dorso della mano.

«Io...»

«Altea, non dirmi che è solo per Rosalina perché non ci credo» tuonò. «Basta dire cazzate. Sei stata un mese chiusa in casa, sei diventata uno scheletro, sei bianca come un cadavere.»

Matilde di certo non si risparmiava.

«Dimmi cos'hai. Ti prego.»

Altea si appoggiò con la schiena contro l'albero. Sentiva la corteccia ruvida anche attraverso il vestito. Tra le fronde degli alberi entravano piccoli fasci di luce e gli uccelli cinguettavano, pronti per inondare i cieli azzurri della primavera.

«È complicato.»

Matilde sbuffò, poi rise. «Non ne ho dubbi.» Le prese le mani fra le sue e piegò leggermente la testa per guardarla. I suoi boccoli biondi le ricaddero su un lato, gli occhi sembravano cambiare colore in base ai raggi del sole che li colpivano. Prima azzurri, poi verdi, poi un mix tra i due colori. «Dimmelo lo stesso.»

Forse a Matilde doveva delle spiegazioni. Era come una sorella per lei. E forse parlargliene sarebbe servito a metterla in guardia. A proteggerla. Non le avrebbe raccontato di Rosalina e Giuliana. Non ne aveva il coraggio. Ma poteva dirgli che esistevano delle creature spaventose, come Dante, e bellissime e buone, come Dam. Poteva spiegargli la situazione a grandi linee.

Poteva?

Damiano si sarebbe arrabbiato? Avrebbe dovuto dirgli anche di Luigi e della sua famiglia?

Matilde era in attesa che la sua amica le dicesse qualcosa, paziente, determinata. Altea non sarebbe mai andata via di lì se non le avesse detto alcunché. La conosceva troppo bene. Sarebbe potuta rimanere lì anche tutta la notte.

Alla fine, le aveva dato appuntamento a casa sua. Quella stessa notte.

«Non so se sia una buona idea» stava dicendo Luigi.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora