Matilde e Rosalina tenevano banco mentre Giuliana e Altea riempivano i piatti di fettuccine ai funghi.
L'orto di Altea non sembrava aver subito danni dalla pioggia di quei giorni, ma l'autunno sembrava essere arrivato in anticipo e dal cielo continuavano a cadere forti raffiche di pioggia alternate a momenti di pace. Quella sera la pioggia batteva contro i vetri delle finestre come se qualcuno vi stesse lanciando della ghiaia contro. Altea era assente. Riempiva i piatti come un automa, sotto gli occhi curiosi di Giuliana che forse, essendo una ragazza particolarmente silenziosa, era più un'osservatrice rispetto alle altre ragazze.
«Quanti piatti mancano?» chiese Altea.
«Solo uno» rispose Giuliana.
Mentre le porgeva il piatto, Altea afferrò una bella manciata di fettuccine e la fece ricadere distrattamente nel piatto.
«Oddio, Giuli, ti ho sporcata?»
L'amica scosse la testa. «Tranquilla.»
Un tuono squarciò il cielo e Altea sobbalzò, senza riuscire a trattenere un urlo. Le fronde degli alberi sembravano muoversi come mostri nascosti dal buio, pronti ed entrare nella sua casa e trascinarla via. La lampadina della cucina tremolò.
Si accorse che tutte e tre le sue amiche la stavano guardando.
«Hai paura dei tuoni?» domandò Rosalina.
Altea ingoiò un boccone amaro di paura e si dipinse un bel sorriso sulla faccia.
«Scusate. No, non ho paura, è che in questi giorni sono un po'...»
«Stressata?» la imboccò Matilde.
«Sì.» Si pulì le mani sulla parannanza e guardò Giuliana che le sorrideva. «Sono un po' stressata.»
«Siediti» le sussurrò Giuliana.
Le quattro amiche iniziarono a mangiare, parlando del più e del meno. Anche Altea cercava di partecipare alla conversazione, ma la verità era che aveva lo stomaco chiuso da quella notte. Ci aveva pensato e ripensato, cercando di autoconvincersi che avesse avuto un'allucinazione, che quell'uomo fosse solo frutto della sua immaginazione, della sua stanchezza. Magari un gioco di ombre. Ma allora... perché quando lo aveva colpito col tagliere questo non era scivolato nel vuoto ma si era arrestato contro qualcosa di solido? Perché, mentre lo colpiva, sentiva quel rumore sordo che le aveva fatto venire i brividi, se in realtà era stata solo una visione? Niente di reale? Niente di materiale?
Altea non era solita raccontarsi bugie. Era molto razionale, vedeva le cose per quelle che erano, senza trucchi. Eppure la sua testa continuava a chiedersi perché il tagliere aveva sbattuto contro qualcosa e non aveva solo fenduto l'aria. E nonostante la risposta arrivasse in contemporanea alla domanda, lei continuava a chiedersi il perché. Era una visione, un'allucinazione, frutto della sua fantasia. Nessuno era entrato in casa sua. Nessuno poteva sparire così senza uscire da una porta. Quindi non c'era nessuno. Giusto? Quello era il suo posto sicuro. Vero?
«Altea? Altea!»
Alzò gli occhi dal piatto che aveva a mala pena spiluccato. Tre paia di occhi la guardavano. Chi preoccupata, chi in imbarazzo, chi confusa.
«Ti senti male?» le chiese Matilde.
«Scusate è che... sono solo un po' distratta.»
E se fosse comparso proprio in quel momento?
«È successo qualcosa?» le domandò Giuliana.
Altea la guardò per un po'. Forse avrebbe potuto dirglielo. Cosa c'era di male?
«No. Niente.» Sorrise. «Vi piace la pasta?»
Le ragazze percorsero quella strada che Altea gli stava indicando. Non chiesero altro.
«Buonissima.»
A fine serata Altea prese il dolce che aveva portato Rosalina. Una morbida e cremosa torta di mele, piena di zucchero e cannella.
«Allora, Rosa, non fare la preziosa» la incitò Matilde. «Lo sappiano che ti stai vedendo con Filippo. Devi raccontarci tutto.»
Le sue gote divennero rosse e un sorriso sornione le si dipinse sul viso.
«Vi siete rivisti, quindi» affermò curiosa Altea mentre tagliava la torta.
Rosalina annuì. «Si, siamo usciti insieme tutti i giorni, dopo la festa.»
«E cosa avete fatto?» le chiese Matilde con sguardo malizioso.
Intanto Giuliana a Altea distribuivano le fette di torta.
«Ma niente, cosa vuoi che abbiamo fatto?» rispose timidamente Rosalina. «Abbiamo passeggiato, ci siamo conosciuti meglio.»
«Cosa fa lui per vivere?» le chiese, Giuliana.
«Ha un negozio di alimentari. Ci lavora con il papà.»
«Ma viene dalla città?»
«Si, ma loro vivono nella parte più in periferia.»
Come immaginava. Altea si era accorta dalla manifattura dei loro abiti che Filippo e Luigi non potevano essere del centro città, come la famiglia Marconi. Allo stesso modo tutti potevano capire dalla manifattura dei loro vestiti che quelle tre ragazze venivano dalla campagna.
«Ha ventun anni come noi?»
«No, ne ha ventitré.»
«E ti ha baciata?» tagliò corto Matilde.
Altea prese un boccone del dolce e le sue papille gustative iniziarono a danzare. Era delizioso. Libidinoso.
Rosalina non rispose subito. Diede un morso alla torta e masticò con calma. Si pulì con il tovagliolo e poi, guardando a turno le sue amiche, urlò un eccitato: «Sì!»
Altea sbarrò gli occhi, con un pezzo gigante di torta ancora in bocca. Matilde batteva le mani con entusiasmo e Giuliana, che le sorrideva compiacente, le chiese:
«È stato bello?»
«Bellissimo e... umido.»
Tra di loro solo Matilde aveva baciato un ragazzo, prima di allora. Altea non era mai stata con nessuno, né baciato nessuno. Nemmeno sfiorato. Nessuno l'aveva mai corteggiata, oltre a quel viscido di Luciano. C'era da dire però che lei non era una che perdeva molto tempo dietro queste cose, né gli dava troppa importanza, soprattutto in quegli ultimi tre anni in cui aveva avuto tante cose a cui pensare. Non aveva tempo per un fidanzato.
«Tuo padre lo sa che state uscendo?» domandò Giuliana.
Rosalina annuì, mentre finiva di masticare.
«Sì, lo sa» rispose mettendo una mano davanti alla bocca. «Lui è tranquillo. È mia madre che rompe» spiegò.
La mamma di Rosalina era sempre stata una donna molto dura, a differenza del padre che invece era un pezzo di pane. Quando andava ancora a scuola, mentre loro tre uscivano fuori a giocare il pomeriggio, Rosalina spesso e volentieri o le raggiungeva più tardi o non le raggiungeva affatto, perché la mamma la costringeva a fare tutti i compiti e a dare una mano in cucina.
«Glielo farai conoscere? È una cosa seria?» domandò curiosa, Altea.
«Sì. La settimana prossima verrà a cena. Sembra voglia fare sul serio con me. Mi dice sempre che sono bellissima» raccontò con aria innamorata.
«Che dolce» sussurrò Giuliana.
A fine serata le ragazze avevano riso e chiacchierato e Altea era riuscita a scrollarsi un po' di dosso quella brutta sensazione di non essere più al sicuro dentro casa sua. Almeno finché non se ne erano andate tutte a casa e lei era rimasta sola.
Ci sarebbero volute sei settimane prima che Altea potesse tornare a dormire tranquilla. Sei settimane in cui nessun essere spettrale era riapparso. Sei settimane di normalità grazie alle quali si convinse che nessuno era entrato in casa sua e che quella strana sensazione di essere seguita, soprattutto la notte, era solo una sensazione e nient'altro.
Giusto?
STAI LEGGENDO
Quando cala il buio
FantasyItalia, 1960. Altea è una ragazza di ventun anni che vive in un piccolo paesino di campagna, dove la cosa più emozionante che possa succedere durante tutto l'anno è la festa di fine estate, quando ci si riunisce in piazza a mangiare pizzette e ciamb...