Capitolo 32

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Altea stava infilando la boccetta di acqua santa dentro allo zaino, vicino ai paletti di legno. Si tirò su e con uno slancio infilò un braccio sotto a uno dei manici dello zaino, mettendo una bretella sulla spalla. Stava per infilare anche l'altro, ma non concluse il gesto, lasciando penzolare lo zaino con tutto il peso sulla spalla destra.

«Altea?»

Giuliana, davanti a lei, stava facendo il suo ingresso nella chiesa.

Altea ricordava che lavorava in città, che aveva trovato un buon lavoro e la sorprese vederla proprio lì.

«Ciao» salutò timidamente, Altea.

«Che ci fai qui?» le chiese Giuliana.

«Io... dovevo vedere una persona» tartagliò.

Giuliana corrugò le sopracciglia, senza smettere di sorridere. Altea sapeva che la sua amica si era accorta che c'era qualcosa di strano. Giuliana era sempre stata una ragazza sveglia, attenta.

«Capito» disse senza insistere, ma analizzando la sua amica con sguardo indagatore.

«Tu, invece?» le chiese Altea. «Non è orario di lavoro questo?»

Sei.

«Oh, sono passata perché il mio capo ogni due settimane mi manda a fare delle commissioni per suo conto qui alla chiesa.»

Altea sprofondò in un baratro nero. Poté sentire le guance che si incavavano, le mani che sudavano e l'aria divenne improvvisamente rarefatta. Le varie immagini di vetro colorato ora sembravano demoni pronti a divorarla, a saltare fuori e balzarle addosso. Le parole di Padre Flavio le riecheggiavano in testa: "Non è la prima volta che Silvio manda una giovane donna ad occuparsi dei nostri affari. Proprio pochi giorni fa è venuta una ragazza più o meno della sua età, ma lei mi aveva portato l'ultima somma."

«Che tipo di commissioni?» chiese con un filo di voce.

Giuliana si avvicinò a lei, come se non volesse farsi sentire, anche se non c'era nessuno in quella chiesa oltre loro, nemmeno Padre Norman, che era rientrato dopo averle dato l'acqua santa.

«È un uomo molto generoso. Ogni due settimane fa' delle donazioni alla chiesa.»

Altea deglutì. «Come si chiama il tuo capo?»

Gli occhi di Giuliana si corrucciarono un po'. «Quelli nella casa nella quale lavoro lo chiamano Dante.»

Ad Altea cedettero le ginocchia e la bocca le si aprì in un singhiozzo strozzato. Giuliana la sorresse prontamente in vita e la fece sedere su una panca.

«Cos'hai? Ti senti male?» le chiese preoccupata.

Altea scosse la testa e si passò una mano sulla fronte per asciugare il sudore freddo.

«No io... deve essere un calo di zuccheri.»

La sua amica la guardava con apprensione, facendole dolci carezze dietro alla schiena.

«Andiamo a prendere qualcosa in un bar, ti va?»

Altea guardò l'amica di rimando, cercando di mascherare il più possibile la preoccupazione e ricacciando indietro le lacrime, ignorando il groppo alla gola che le doleva.

«Quindi questo Dante... sembra una brava persona» indagò.

Giuliana alzò le spalle. «Io non l'ho mai visto, ma sembra che sia lui il proprietario della casa della famiglia per la quale lavoro, quindi a questo punto credo che loro gli paghino l'affitto e che lui ne prenda una parte da versare in beneficenza. Però si, credo sia una brava persona se fa beneficenza, no?»

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora