Capitolo 14

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Quando era giorno Altea era abbastanza tranquilla, forse perché oberata dal lavoro che non le dava troppo modo di pensare. Quando calava il buio una costrizione al petto si presentava puntualmente. In realtà si era quasi abituata alla sua presenza. Era già qualche giorno che stava con quello straniero di cui non sapeva ancora il nome.

Se ne stava lì, seduto, a guardarla mentre cucinava, nascosto nell'ombra quando veniva la signora Silvana. La guardava mentre mangiava e le girava intorno mentre faceva i piatti. A volte le sembrava la studiasse e questo le dava non poco fastidio. Aveva come l'impressione che tenesse una serie di appunti mentali nei quali elencava pregi e difetti, nemmeno fosse un topo da laboratorio. Questo la faceva sentire inerme, sotto pressione dentro casa sua, dentro al posto che avrebbe dovuto tenerla al sicuro, ma sapeva che non poteva fare niente per evitare quella situazione.

Nonostante non l'avesse mai più sfiorata con un dito dopo quella sera, quando le girava intorno stava sempre sul chi va là, aspettando di sentire qualche fitta di dolore da qualche parte. Era sicura che prima o poi l'avrebbe colpita alle spalle, uccisa quando non sarebbe stata più interessante.

Non si erano scambiati molte parole in quei giorni. Insisteva nel dire che doveva capire chi aveva davanti, voleva capire chi era veramente Altea prima di spifferare qualsiasi cosa sulla sua vita privata.

«Quindi tu puoi invadere la mia vita privata, ma io non posso sapere nulla della tua» gli aveva detto, una sera.

Lui non le aveva nemmeno risposto. Era rimasto appoggiato al tavolo della cucina, con caviglie e braccia incrociate, la mano sinistra che sfiorava il mento, gli occhi socchiusi, osservandola.

La verità era che Altea non sapeva minimamente cosa stesse succedendo nella sua vita e a volte continuava a pensare che tutto quello fosse frutto della sua immaginazione.

Erano stati svolti i funerali di Luciano, gli era stata data degna sepoltura. Il caso era stato archiviato. Nessuno parlava più dello straniero e Altea non diede modo nemmeno alle sue amiche di ritirare fuori l'argomento.

Era finita. Almeno per gli altri.

Quella sera era tornata alla locanda con le sue amiche. Tutto sembrava tornato alla normalità, tutti bevevano come se Luciano non fosse mai esistito. Era ovvio che non ci si poteva struggere per sempre e che probabilmente le persone che gli volevano bene stavano soffrendo in silenzio, ma Altea non riusciva a smettere di rivivere quella sera. Poteva quasi vederlo andare via, anche se al tempo non sapeva che non avrebbe mai fatto ritorno.

Quello di cui Altea aveva paura era che quello straniero potesse fare del male a qualcuno più vicino a lei. Alle sue amiche. A Luigi.

«Devi promettermi che non farai del male a nessuno dei miei amici» gli aveva chiesto qualche giorno prima.

Lui era rimasto in silenzio, come al solito.

«Devi prometterlo» aveva insistito.

«Io non devo niente a nessuno.»

«E invece sì, visto che stai dentro casa mia ogni dannata sera. Sono persone a cui voglio bene. Sono la mia famiglia.»

«Perché me lo stai dicendo se pensi che non sia stato io a uccidere Luciano e mi sia inventato tutto?»

La verità era che non sapeva cosa pensare. Gli dava l'impressione di essere una delle cose più pericolose che le si erano palesate davanti durante tuta la sua vita e allo stesso tempo le dava l'impressione che fosse estremamente profondo e vero.

«Perché ci sono tante cose di te che non so. Perché sei un estraneo. Perché non ho la certezza che non sia stato tu, come non ho nessuna certezza che sia stato veramente tu.»

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora