Capitolo 44

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Furono cinque giorni di sveglia presto, lavoro e allenamento intenso.

Luigi aveva iniziato a fargli fare il percorso a ostacoli ripetutamente, a mettere alla prova la loro forza, mirando a rinforzare le spalle, le braccia, le gambe. Continuavano a fare prove di resistenza, di velocità, di riflessi. Ma erano appena all'inizio.

Quando finiva l'allenamento e tornava a casa da Damiano, per quanto lo desiderasse, Altea non riusciva nemmeno a fermarsi per cenare. Damiano le faceva trovare sempre qualche piatto pronto, e anche se non aveva molto la mano per la cucina, non mangiando da secoli, erano comunque piatti pieni d'amore, e alcune volte l'aveva presa a forza dal letto e messa a tavola.

«Se non sei in forze non puoi combattere» le ripeteva.

Allora Altea ingurgitava il cibo quasi a occhi chiusi, poi si gettava sul letto.

Si addormentava con il petto di Damiano sotto la sua guancia, anche se non era cullata dal suo respiro. Oppure a volte le accarezzava la schiena finché il respiro di lei non si faceva pesante, e allora la lasciava dormire.

Quella domenica, libera dal lavoro e da tutto il resto ‒ anche se chiunque abbia un orto e degli animali sa perfettamente che non esistono giorni di ferie ‒ dedicò la mattinata a sistemare un po' il casino che aveva in casa e dopo andò con Matilde a fare una corsetta lungo il bosco, giusto per non perdere il vizio e continuare ad allenare resistenza e velocità. Quando nel pomeriggio arrivarono nell'arena dall'allenamento improvvisata dalla famiglia Schiarelli, Luigi era già lì ad aspettarle, insieme alla mamma, Andrea e a quello che doveva essere il padre di Luigi, perché aveva il suo stesso naso e Andrea era la sua fotocopia.

Antonio, il papà di Luigi e Andrea, era un uomo ben piazzato, mani grandi, corpo rigido, quella rigidità che ti da il lavoro duro più che l'allenamento. Aveva capelli abbastanza lunghi da passarci le mani in mezzo che sfumavano dalla più brillante tonalità di biondo alla più chiara tonalità di bianco, con leggere striature grigie lungo le tempie.

Andrea e Antonio si stavano allenando duramente con bastoni, lame e paletti, e se Antonio era il ritratto della forza fisica, Andrea era il ritratto della precisione. Ogni suo colpo era estremamente pulito, fendeva l'aria con le lame come se vedesse veramente qualcosa da tagliare, qualcosa che nessun altro vedeva.

Il padre continuava ad affondare e colpire, lui a schivare e contrattaccare. Era veloce. Dannatamente veloce.

Ma quello evidentemente non era abbastanza poiché Antonio riuscì a far cadere il figlio a terra, bloccandogli il braccio sotto a uno stivale e puntandogli la lama alla gola.

Altea strinse il braccio di Matilde in un gesto di paura, vedendo la determinazione nei loro sguardi. Matilde invece li guardava estasiati.

«Sei troppo arrogante, figliolo. Sarà la tua condanna» lo rimbeccò il padre mentre gli porgeva la mano per rialzarsi.

Mano che Andrea prese con non poco risentimento, mentre il padre lo risollevava da terra con un gesto secco.

«Quello che io ho fatto con pochi secondi, una creatura come quelle che stanno la fuori può farlo con la sola forza del pensiero.»

Andrea sorrise in modo arrogante, senza alcuna traccia di divertimento. «Be', allora che io sia arrogante o no in quel caso non avrebbe troppa importanza.»

Quando gli altri membri della famiglia Schiarelli seguirono lo sguardo di Luigi, accorgendosi della presenza di Altea e Matilde, tutti sorrisero.

Tranne Andrea.

Prima ancora che Altea potesse salutare, Matilde si sciolse dalla sua presa, correndo verso Antonio e chiedendo entusiasta se poteva insegnarle quella mossa con il coltello. Antonio sembrò dapprima spiazzato dal suo fare esuberante, poi l'ombra di un sorriso gli segnò il volto. Un sorriso sia dolce che amaro.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora