Capitolo 43

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L'indomani, un paio d'ore prima del tramonto, dopo aver svolto ognuna il proprio lavoro e aver fatto un pranzo copioso, Altea e Matilde si stavano dirigendo verso casa di Luigi. Lui stesso era venuto a prenderle e ora aveva imboccato una strada sterrata in mezzo a un bosco, una strada che Altea non aveva mai visto.

Per quanto la riguardava, Altea era già stanca, provata dal lavoro e dalla sera prima, che non era finita di certo dopo il primo rapporto, come invece pensava lei.

Damiano aveva fatto la doccia con lei, e anche sotto l'acqua l'aveva fatta gemere di nuovo. Poi di nuovo quando erano tornati in camera, senza nemmeno darle il tempo di asciugarsi i capelli. Più che altro avevano sperimentato. Lui le aveva chiesto se le piaceva più così o in un altro modo, cambiando movimento a seconda della sua risposta. Altea si era goduta quelle lezioni private e, detto sinceramente, non vedeva l'ora di farne altre.

Ma quelle lezioni non avevano fatto altro che spossarla. Il suo fisico non era pronto a tutto quel tipo di movimento, a quel livello di eccitazione e a quella spossatezza che provoca un orgasmo.

E la giornata non era ancora finita. Anzi. Stava appena per cominciare.

Luigi parcheggiò la macchina davanti a una tipica casa di campagna, rustica, mattoni a vista, imposte di legno. Niente che all'apparenza potesse far pensare che fosse abitata da una famiglia di cacciatori.

«Seguitemi. Dobbiamo camminare un po'.»

Con i vestiti più ginnici che avevano trovato, che per Altea erano l'ultimo pantalone che le restava di suo padre, una magliettina a maniche corte che usava per l'estate e un maglione sopra perché ancora faceva freschetto, si addentrarono nel bosco. Matilde, come Altea, indossava pantaloni e una felpa, probabilmente del fratello.

Il paese di Altea, sul lato ovest, era contornato per chilometri unicamente di vegetazione, e la direzione che stavano prendendo era proprio quella. Passo dopo passo, erano sempre più immersi nel bosco.

C'era un odore di muschio e terra bagnata che volteggiava nell'aria. Ogni tanto, sui rami degli alberi sopra di loro, si sentiva un fruscio di qualche animaletto che correva a nascondersi, o che si sporgeva meglio per osservare chi erano quegli invasori.

La luce era più debole là dentro, filtrata dai rami degli alberi, ma davanti a loro sembrava aprirsi uno spiraglio.

In quel punto gli alberi erano meno fitti, ce n'erano pochi e a distanza più ampia l'uno dall'altro. Questo aveva permesso la realizzazione di quello che sembrava un vero e proprio percorso a ostacoli e uno spazio per il combattimento.

Una donna, poco più alta di Altea, seguiva il percorso, al termine del quale, da dietro alcuni alberi e cespugli, spuntavano bersagli contro i quali lanciava lame che li trapassavano da parte a parte con una forza e una destrezza da lasciare senza fiato.

Quando anche l'ultimo coltello fu lanciato, la donna si girò verso i nuovi arrivati.

Aveva capelli lunghi castani con sottili striature grigie legati in una lunga treccia che le finiva sopra il sedere. Indossava una specie di divisa in pelle marrone, una cinta in vita che sembrava pesare più di lei per tutte le cose che vi erano appese, una fascia in diagonale che le fasciava il petto, anche questa in pelle, con degli scomparti per quelli che le sembravano due paletti e qualcos'altro che non riusciva a distinguere.

La affiancò un ragazzo giovane, forse il fratello di Luigi, vestito anche lui come la madre.

Come Luigi, aveva capelli biondo scuro, ma a differenza del fratello, che aveva gli occhi chiari, lui li aveva di un bel marrone chiaro, come la corteccia giovane di un albero. Doveva essere più piccolo di lei almeno di un paio d'anni, all'apparenza.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora