Capitolo 46

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L'intento di Altea e Matilde di tornare a casa a piedi era miseramente fallito dopo il combattimento corpo a corpo. Luigi le aveva accompagnate ognuna a casa sua, il cielo già nero sopra di loro.

Andrea e il fratello avevano avuto un diverbio silenzioso, ma era chiaro che Luigi gli stesse dicendo di andarci più piano con lei e Matilde e magari di evitare di lanciargli sassi in faccia.

«Sei stato tu il primo a farlo» aveva ribattuto lui, uno dei pochi spezzoni che Altea era riuscita a sentire.

«Perché sapevo che Altea l'avrebbe presa.»

Andrea, senza nemmeno guardare il fratello, mentre si sistemava il coltello sulla coscia, aveva risposto: «Quelle creature non ti colpiscono dove sanno che riuscirai a difenderti. L'esatto opposto.»

«Andrea, bisogna procedere per...»

«Non dire a me come bisogna procedere, fratello» aveva ringhiato lui, il volto teso, il muscolo della mascella che guizzava. Luigi aveva mantenuto la calma, per niente sorpreso da quella reazione, anzi. Sembrava guardarlo con comprensione e... dispiacere. «Siamo cacciatori. Dobbiamo imparare ad affrontare il peggio e andare avanti. O non te lo ricordi?»

Per tutto il viaggio di ritorno a casa Altea si era chiesta a cosa si riferisse, ma non aveva avuto il coraggio di fare alcuna domanda a Luigi, che dopo quella discussione sembrava assente e incazzato.

Le scale per salire a casa erano state il colpo di grazia per le povere gambe di Altea, i cui muscoli tremavano senza alcun controllo. L'unico sollievo di quella dura giornata era stato vedere la luce della cucina accesa, come un faro in mezzo a una distesa infinita di erba e montagne ricoperte di neve.

Sul tavolo della cucina, ad accoglierla, c'era un piatto fumante di spaghetti al pomodoro. Ma la cosa più invitante era l'uomo in piedi lì vicino.

Altea si prese un momento per ammirarlo. Le gambe lunghe e robuste, la vita larga e asciutta, il petto ampio, le braccia grosse e pesanti, le spalle larghe. La mascella squadrata, le labbra carnose e rosee come un bocciolo, l'ombra della barba nera, e quegli occhi oscuri, contornati di ciglia e sopracciglia folte e nere così come il sole è contornato da raggi e nuvole.

E quelle mani.

Quelle mani strette a pugno, contenute, quasi cercassero di nascondere il desiderio che vi si attorcigliava intorno. Quelle mani, che promettevano carezze e rudezza, amore e passione, pressione e profondità. Poteva ancora sentirle avvolte nei sui capelli, che li tiravano abbastanza da farle mordere il labbro, provocandole quel dolore piacevole che accompagnava i suoi movimenti con presa salda. Poteva sentirle scivolarle sulle gambe, stringere la carne fino a farla gemere, poi tornare gentili. Poteva sentire le sue dite sopra e dentro di lei muoversi dolcemente, scivolare fuori e dentro. Poteva sentirle scorrere sulle sua labbra, cingerle i glutei, la schiena, graffiarla.

Le sue labbra scorsero sul suo collo come un soffio, facendole venire la pelle d'oca, facendo si che la sua mano lasciasse cadere a terra la busta con i suoi indumenti. Non ricordava di averlo visto avvicinarsi.

«È molto sexy con questa uniforme, signorina Durante.»

La sua voce le accarezzò la pelle, così come le sue mani le accarezzavano il dorso delle braccia su e giù, in una lunga e lenta agonia. Non lo aveva ancora visto, ma era sicura che i suoi occhi fossero bianchi.

«Mi fa sentire un po' in imbarazzo» ammise, la voce ridotta a un sussurro.

Dam le depose un bacio casto sulla clavicola, salendo poi su lungo il collo, fin dietro l'orecchio. Le mordicchiò il lobo, ma i canini che sapeva ora essere appuntiti, non la graffiarono.

Quando cala il buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora