La lettera

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Le sei del mattino e con loro la sveglia sono arrivate troppo presto.

Il pensiero di dovermi alzare e andare a scuola mi fa venire da vomitare. Mi alzo lentamente e appena apro le tende la luce mi arriva agli occhi obbligandomi a strizzarli.

Bel inizio giornata.

Esco già pronta saltando la colazione, probabilmente se ingerissi anche solo un biscotto vomiterei.

Jack non c'è, deve essere uscito prima.
Meglio così non ho voglia di vederlo comunque.

Mentre percorro il viale che porta all'autobus una mano mi tocca la spalla.

Mi giro sobbalzando e vedo un uomo di mezza età che mi guarda sorridendo.

Ha gli occhi di un verde brillante ed un viso segnato da cicatrici sparse.

<<Salve, cosa posso fare per lei?>> mi gira la testa e gli occhi mi si chiudono dal sonno mancato.
<<Oh no nulla, volevo vedere se eri tu>> mi sorride amorevolmente anche se continuo a non capire.

<<Io chi?>> comincio ad essere un po' ansiosa, non sembra pericoloso, ma è strano.
<<La figlia di Lily Bennett>> a sentire il suo nome il mio stomaco fa una capovolta.

<<Sei identica a lei>> continua a parlare mentre io non riesco ad emettere un suono <<hai i suoi stessi occhi grigi e le labbra rosee, mi sembra quasi di vedere lei>> sorride dolcemente continuando ad osservarmi.

<<Posso chiedere come vi conoscevate?>> guardo furtivamente l'orologio senza dare troppo peso al fatto che sono in ritardo.

<<Anche tu mi consoci cara, solo non te lo ricordi>>
esita un attimo poi rendendosi conto di non aver risposto alla mia domanda continua <<eravamo amici di vecchia data>>.

<<In effetti non ho ricordo di lei, mi dispiace>> più mi impegno a cercare di capire chi è meno ci riesco, ma intravedo una somiglianza famigliare.

<<Beh allora forse ti ricordi di mio figlio, Carl>> una lampadina si accende nella mia testa, ora riesco a collegare la somiglianza.

Ed ecco perché mi sembra di conoscere già Carl, io lo conosco già.

<<Giocavate spesso assieme, prima che succedesse ciò che è successo>> il suo tono si fa improvvisamente triste e riesco subito a capire di cosa parla.

<<Anche Jack avrebbe voluto giocare con voi, ma sai com'è, era già allora un bambino chiuso e sempre arrabbiato, eri l'unica da cui si faceva toccare a tutti gli altri tirava un calcio>> trattiene una risata.

<<Conoscevo davvero Jack?>> il tono della mia voce risulta così sbalordito che si chiederà il motivo.

<<Si, ma l'hai visto così poche volte che non ne avrai sicuro ricordo, se ne stava sempre in casa a guardarti dalla finestra, lo incitavamo ad andare a giocare con te e Carl ma non ne voleva sapere, solo quando eri da sola veniva da te e rimaneva ad osservarti, era così strano, non abbiamo mai capito perché>> guarda il marciapiede come se fosse concentrato a frugare tra i suoi ricordi per poterli raccontare.

Il mio corpo è immobile sulla strada, e il cuore mi batte forte come non mai.

Conoscevo Jack.

Ma lui sa che sono io?

Non credo, o si comporterebbe diversamente.

<<Ti senti bene?>> la voce del signore di fronte a me mi risveglia.
<<Si>> sorrido riacquistando la lucidità.

Ma se io, Carl e a volte Jack giocavamo insieme ciò significa che le nostre famiglie si conoscevano.

<<Mi scusi ma, se lei conosceva mia madre, e suppongo i genitori di Jack, che legame c'era tra voi, perché vi conoscevate tutti?>> la mia domanda risulta quasi accusativa.

<<Ecco...si è fatto tardi, è stato un piacere vederti e conoscerti>> non appena si allontana, senza darmi nemmeno la possibilità di salutarlo, accelera il passo è in poco tempo scompare nel traffico di Manchester.

Sono in ritardo anche oggi, sicuramente l'autobus è partito e non arriverò mai in tempo.

Ha senso andare a scuola?

Suppongo di no.

Rientro in casa e la prima cosa che ho voglia di fare è una doccia per rinfrescarmi le idee.

Mi spoglio e prima di entrare in doccia mi soffermo sulla figura nello specchio.

Più mi guardo più le cosce sembrano diventare grosse e i fianchi larghi.

Stringo le mie cosce tra le mani e le dita si sfiorano appena.

Mi manca il respiro.

Quando mollo la presa un profondo solco rosso circonda la mia coscia.

Sto ingrassando.

L'immagine di me allo specchio con le cosce il doppio delle mie mi fa mancare il respiro, mi appoggio alla doccia per non perdere l'equilibrio.

La freschezza del muro della doccia mi fa riacquistare la lucidità.

Esco dalla doccia e mi infilo l'accappatoio.

Mi vesto e asciugo i capelli in fretta.

Il mascara colato ha reso le mie guance nere e le occhiaie sono di nuovo visibili. 

Mi strucco e mi trucco di nuovo.

Ora va meglio di certo.

Il campanello suona, l'ansia mi assale.

Scendo al piano di sotto e apro di poco la porta.

<<Sophie Evans?>> il ragazzo da l'idea di essere un postino. Annuisco e apro di più la porta.

Ha una lettera in mano e me la porge lentamente. 
<<Questa è per te>> mi sorride dolcemente e poi si allontana.

Richiudo la porta facendo un giro di chiave.

Prendo un coltello dalla cucina e stacco la colla dalla carta.

La lettera è indirizzata proprio a me. Ma non è firmata.

Eppure l'indirizzo mi è familiare.

Faccio mente locale e finalmente lo collego a qualcosa di già letto.

Inciso sulla carta, in alto, c'è scritto:
44 Barnsbury street, Londra

Rabbrividisco.

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