Il rapimento

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<<Mamma! Mamma aiuto!>> gridavo tenendo ancora gli occhi chiusi per paura di aprirli.

La porta in pochi secondi si spalancò e sentii dei passi correre verso di me.

<<Tranquilla piccolina, la mamma è qui>> sentii le sue braccia avvolgermi e il suo profumo tranquillizzarmi.

Aprii finalmente gli occhi intravedendo il viso pallido e gli occhi scuri di mia madre

<<Cosa hai sognato?>> mi domandò, stendendosi accanto a me e cullandomi come un neonato.

<<Non me lo ricordo, ma avevo paura>> singhiozzai stringendomi a lei.

<<Non preoccuparti amore mio non tornerà più>> mi spostò i capelli dietro all'orecchio in una dolce carezza ed io poco dopo mi addormentai con la testa appoggiata al suo petto sentendo il battito del suo cuore.

Quando apro gli occhi il buio mi invade di nuovo, provo a muovermi ma mani e piedi sono entrambi legati con forza.

Mi muovo di più nel tentativo di sciogliere i nodi ma la sedia traballa e basta, rischiando di farmi cadere da un lato.

Improvvisamente la luce si accende e d'istinto chiudo gli occhi per il fastidio che mi provoca.

Mi guardo intorno sembra una specie di sala per gli interrogatori, ma oltre a me e alla mia sedia non c'è nient'altro.

Davanti a me solo un vetro oscurato e una porta in ferro pesante.

La porta si apre e con il cuore in gola per la paura mi stringo a me.

Compare un uomo alto e gracile, ha il viso lungo e rugoso, la fronte alta, gli occhi piccoli e neri, la stempiatura ai lati della testa e i pochi capelli rimasti sono corti e grigi.

Si ferma a guardarmi qualche secondo in totale silenzio e poi mi sorride.

La bocca si incurva all'insù facendo arricciare il naso piccolo, a patata.

<<Scusami tanto per il modo poco civile con cui ti hanno portata qui, ma fino a poco fa eri svenuta quindi forse non hai sentito i colpi>> cammina avanti e indietro per la sala.

Ha delle scarpe nere, lucide, con il tacco, che ogni volta producono un rumore simile alla latta che cade per terra.

<<Mi avete fatto sbattere la testa sul cemento facendomi svenire, concordo sul fatto che non sia stato affatto civile>> sputo acida, agitandomi sulla sedia.

<<Buona, buona, sei legata talmente bene che non riuscirai a muovere nemmeno un dito>> fa un sorriso malsano, strofinando tra loro le mani lunghe e grinzose.

<<Cosa volete da me?>> domando, cercando di mantenere la calma anche se il mio cuore continua a battere incessantemente al suono dei suoi passi.

Mi guarda seccato e sbuffando sventola la mano come se fosse una domanda talmente sciocca da non meritare una risposta.

<<Mia cara Sophie, mi ricordo benissimo di te, ma sicuramente tu non ne hai memoria>> lascia la frase in sospeso, fermandosi per sistemarsi la giacca in velluto.

<<Era il gelido inverno del 2005, quando alle 8:35 del mattino del 17 novembre nacqui tu>> sospirò <<era un giovedì, il giovedì più freddo degli ultimi tre anni>>.

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